mercoledì 12 luglio 2023
Nel volume “Ior”, edito da Ares, Francesco Anfossi firma un’indagine sull’istituto vaticano basata anche su documenti inediti. La prefazione dello storico Giovagnoli
Gli inizi, Marcinkus, il crac Ambrosiano. Lo Ior tra realtà e dicerie

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Un libro che è il frutto di una lunga e articolata indagine. Esce per le Edizioni Ares Ior. Luci e ombre della Banca vaticana dagli inizi a Marcinkus (232 pagine, euro 16,80). A firmare il volume è Francesco Anfossi, caporedattore di Famiglia Cristiana ed editorialista de L’Eco di Bergamo che ripercorre la storia dell’Istituto opere di religione dalla sua antenata, la Commissione “ad Pias Causas” al cosiddetto accordo di Ginevra, mediante il quale il Vaticano risarcì in parte le banche creditrici dell’Ambrosiano. Un lavoro di ricerca basato oltreché su una mole di articoli e sulla vastissima bibliografia esistente, su una documentazione inedita conservata nelle carte del cardinale Agostino Casaroli, e da altre “fonti” reperite dall’autore (lettere, bilanci, documenti finanziari), oltre a conversazioni con economisti, consulenti, uomini della finanza, dipendenti e dirigenti dell’Istituto vaticano. Inutile dire che molta attenzione è dedicata al crac dell’Ambrosiano e alla figura di monsignor Paul Marcinkus, presidente dello Ior dal 1971 al 1989 e qui raccontato anche attraverso documenti e testimonianze inedite, approfondendo la sua responsabilità in merito ai legami con Sindona e Calvi. Nel libro anche i bilanci dell’epoca, lo studio sul numero e il tipo dei clienti della “Banca vaticana” e le vicende, spesso bizzarre, di molti suoi dipendenti. La prefazione, di cui riportiamo ampi stralci, è dello storico Agostino Giovagnoli.


Quando si parla di Ior si pensa soprattutto alle vicende che più lo hanno esposto all’attenzione mediatica, negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso o più recentemente. Ma questo singolare istituto finanziario ha una lunga storia: fondato nel 1942, ha raccolto in realtà un’eredità che affonda le sue radici negli ultimi decenni dell’Ottocento. Con efficace stile giornalistico Francesco Anfossi ne racconta le vicende, intrecciando con vivacità il racconto degli eventi e le leggende che ne accompagnano il ricordo, gli scandali presunti e quelli veri

Il libro aiuta anzitutto a capire la complessità della struttura finanziaria della Santa Sede, frutto di molteplici stratificazioni e di novità che non azzerano quanto già in essere, ma piuttosto lo modificano aggiungendo nuove articolazioni, responsabilità e competenze. Per un certo periodo, ad esempio, le vicende dell’Obolo di San Pietro si sono parzialmente intrecciate con quelle dello Ior ma poi, scrive l’autore, sono tornate a separarsi e oggi le offerte alla Chiesa e i contributi delle diocesi di tutto il mondo sono gestiti da un apposito ufficio della Segreteria di Stato, finendo per costituire una sorta di “terza banca”, oltre l’Apsa e lo Ior (...)

La comparsa di monsignor Paul Marcinkus ai vertici dello Ior aprì invece un’altra stagione, molto più turbolenta. Il prelato americano «è stato persino accusato di aver ordito l’assassinio di Giovanni Paolo I e di essere coinvolto nel rapimento di Emanuela Orlandi». La strada dello Ior si intrecciò anzitutto con quella di Michele Sindona, di cui questo libro tratta ampiamente. Ma è soprattutto ai rapporti con Roberto Calvi e con il Banco Ambrosiano che Francesco Anfossi dedica la sua attenzione, utilizzando una documentazione inedita conservata nelle carte del cardinale Agostino Casaroli.

La vicenda del Banco Ambrosiano si concluse tragicamente con il suicidio della segretaria di Calvi e la morte a Londra dello stesso banchiere, che venne trovato impiccato a un’impalcatura sotto il Blackfriars Bridge. Fu una vicenda oscura, in cui entrarono – nota Anfossi – Licio Gelli e la loggia P2, Umberto Ortolani, Francesco Pazienza e Flavio Carboni. Si trattò della «più grave deviazione di un’importante istituzione bancaria rispetto alle regole della professione verificatasi in un grande Paese industriale in questi ultimi quarant’anni», disse allora il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta.

Questi divenne uno dei principali protagonisti degli sviluppi che ne seguirono, tra cui uno scontro inedito tra lo Stato italiano e la Santa Sede. Il ministro democristiano, infatti, prese nettamente posizione contro quest’ultima e affermò che esisteva una corresponsabilità dello Ior nella mala gestione della più importante banca privata italiana, chiedendo al Vaticano di pagare l’ingente cifra di 1.159 milioni di dollari. Tutto ciò mise in seria difficoltà la Santa Sede e Casaroli avviò un’approfondita indagine interna per chiarire che cosa fosse effettivamente avvenuto. Proprio a quest’indagine fanno riferimento i documenti che hanno permesso ad Anfossi di far emergere nuovi elementi di conoscenza riguardo a una vicenda di cui tanto si è discusso sia allora che in seguito.

Marcinkus respinse le accuse, spiegando che l’Istituto aveva concesso alcune “lettere di patrocinio” a Calvi per frenare ulteriori debiti e ulteriori finanziamenti alle società. Invece Calvi aveva utilizzato tali lettere per scopi ben diversi, tradendo la fiducia di Marcinkus. Il nome dell’Istituto «era stato utilizzato per la realizzazione di un progetto occulto, che all’insaputa dell’Istituto stesso collegava ad un unico fine operazioni che, se considerate singolarmente, avevano l’apparenza di essere regolari e normali» (...). Casaroli, però, non si accontentò dell’autodifesa di Marcinkus e accettò di creare una commissione mista italo-vaticana. Per tutta la prima metà del 1983, all’interno della Santa Sede si svolse un’approfondita discussione. Venne anche effettuata una missione per visitare le sedi delle società collegate all’Ambrosiano a Lima, nelle Bahamas, in Nicaragua e per parlare con i diretti interessati, esaminare i bilanci, capire gli intrecci della rete che aveva fatto capo a Calvi. Il 17 agosto i tre membri vaticani della commissione mista, Pellegrino Capaldo, presidente del Banco di Roma, monsignor Renato Dardozzi, brillante ingegnere divenuto sacerdote in età adulta, e l’avvocato Agostino Gambino, già difensore della Banca Privata di Sindona, inviarono al Segretario di Stato un promemoria, informandolo che difficilmente si sarebbe giunti «ad un univoco consenso nell’accertamento della verità». Ma prefigurarono notevoli danni d’immagine per la Santa Sede a causa di quella vicenda e sollecitarono Casaroli a un componimento amichevole della questione. Il segretario di Stato accolse questi suggerimenti e, nonostante il parere contrario di molti cardinali, si convinse che fosse

necessario trattare con lo Stato italiano pur senza ammettere responsabilità dell’Istituto. Nello stesso mese di agosto 1983 si svolse a Castelgandolfo una riunione alla presenza del Papa, Giovanni Paolo II. A parte Marcinkus, tutti i partecipanti si espressero per l’indennizzo proposto da Casaroli e il Papa approvò la decisione.

Nell’autunno successivo, la Commissione presentò un documento finale con le differenti conclusioni dei sei commissari: due dei tre esperti italiani concludevano per una responsabilità da parte dello Ior, mentre il terzo non espresse un giudizio altrettanto netto; i tre consulenti vaticani espressero invece una posizione favorevole allo Ior. Ma ormai la decisione era già stata presa. La questione Ambrosiano-Ior venne chiusa il 25 maggio del 1984, a Ginevra, quando le parti stabilirono di addivenire a un accordo «in uno spirito di reciproca conciliazione e collaborazione». Lo Ior si impegnò a pagare 250 milioni di dollari, non a titolo di risarcimento ma coatto di «contributo volontario». Benché conclusa con un accordo, la vicenda segnò una sorta di spartiacque nelle relazioni tra Santa Sede e Stato italiano, influenzando molto anche le vicende successive delle finanze vaticane.

La documentazione utilizzata da Anfossi spinge a ritenere che le responsabilità dello Ior fossero meno evidenti di come le aveva ritenute Andreatta presentando la banca vaticana come “un socio di fatto” dell’Ambrosiano (...).

La vicenda ebbe uno strascico giudiziario nel 1987 quando i giudici istruttori di Milano spiccarono un mandato di cattura contro Marcinkus, Mennini e Pellegrino De Strobel accusati di concorso in bancarotta fraudolenta nel crac dell’Ambrosiano. La Segreteria di Stato chiese al cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, di informarsi discretamente sulle ragioni di quella decisione. Martini riferì senza commenti che per i giudici era un “atto obbligato” e riportò i dubbi di tanti circa l’opportunità che «persone colpite da mandato di cattura [continuassero a occupare] i loro posti di responsabilità, col rischio di una prossima condanna per imputazioni gravissime» e lamentò che non fossero già state sostituite in precedenza (...).

Probabilmente Casaroli non fu del tutto insensibile alle argomentazioni di Martini, ma gestì in modo soft il cambiamento ai vertici dello Ior. Li “congelò”, infatti, nel timore che un avvicendamento brusco sarebbe stato interpretato come un’implicita ammissione di responsabilità. Ma contemporaneamente fece passare le leve del comando a una Commissione di cardinali e a un Consiglio di Sovrintendenza di laici competenti, preparando così una successione che avrebbe sancito la fine dell’epoca dei prelati alla sua guida.

Quelle ricostruite da Anfossi sono pagine interessanti non solo di storia dello Ior, ma anche della Chiesa cattolica contemporanea nel suo complesso. Ne esce un quadro della “finanza vaticana” piuttosto diverso da quello abitualmente diffuso dai mass media. Anzitutto per le sue dimensioni: Anfossi riporta per esempio i numeri che fotografano l’attività dello Ior negli anni Novanta, citando l’opinione dei suoi dirigenti che lo paragonavano a una Cassa di risparmio di piccole dimensioni. I “forzieri” della Chiesa sono generalmente sovradimensionati, perché intorno alle “ricchezze del Papa” tendono sempre a svilupparsi molte fantasie e leggende.

Sovradimensionato appare spesso anche il carattere “criminale” di molte azioni compiute da uomini che hanno gestito le finanze della Santa Sede. Non va ovviamente escluso che ci sia stato tra di loro chi ha effettivamente avuto comportamenti criminali. Ma spesso ci si trova davanti ad altri problemi. Il caso del Banco Ambrosiano è eloquente: non sembra che Marcinkus partecipasse davvero alle trame criminali di Calvi e non è impossibile che la sua fiducia sia stata tradita dal “padrone” dell’Ambrosiano (...)

Il caso Marcinkus suscita però altri comportamenti anch’essi molto gravi. Fidarsi di personaggi inaffidabili come Sindona o Calvi è stato un errore che chi amministra i soldi della Chiesa non può permettersi. Anche la pervicacia di Marcinkus nell’escludere qualunque sua responsabilità, anche involontaria, non depone a suo favore. L’allora presidente dello Ior ha comunque esposto la Santa Sede e più in generale la Chiesa cattolica a pericoli molto grandi e ne ha danneggiato fortemente la credibilità, come sottolineava il cardinale Martini (...).

Oltre all’inadeguatezza delle persone – non tutte: ci sono state molte figure esemplari di servitori della Santa Sede e della Chiesa –, da questa storia emerge anche una farraginosità delle strutture che non aiuta la trasparenza dei comportamenti, l’assunzione di responsabilità e la correttezza delle operazioni. Spesso, per risolvere i problemi, si sono moltiplicati le commissioni cardinalizie e i comitati di controllo oppure sono state frammentate le competenze e aggiunte nuove funzioni. Negli ultimi decenni si è cercato di ovviare alle difficoltà che venivano così a crearsi attraverso una sorta di “normalizzazione” delle finanze vaticane, uniformandole il più possibile a standard internazionali. È una tendenza comprensibile, che rischia però di sacrificare le peculiari finalità di tali finanze. Come ricorda Anfossi in questo libro, le origini dello Ior sono state strettamente collegate alle esigenze dell’evangelizzazione e alle urgenze della carità, particolarmente intense durante la Seconda guerra mondiale. Ma, purtroppo, le guerre non sono finite e nuove situazioni di emergenza – seppure diverse le une dalle altre – si creano continuamente nella storia. Ciò spiega perché l’autonomia finanziaria della Santa Sede e una sua gestione non sempre rispondente a regole rigidamente prefissate rappresentino una necessità se si vuole che sia possibile al Papa e ai suoi collaboratori di compiere azioni straordinarie in situazioni straordinarie. Anche le resistenze a una totale centralizzazione e unificazione del governo delle finanze della Santa Sede non esprimono solo la volontà di sottrarsi a qualsiasi controllo ma rispondono anche a ragioni profonde. Insieme a colpe e a errori, tutto ciò contribuisce a spiegare perché la storia delle finanze vaticane sia stata tanto tormentata e perché, presumibilmente, lo sarà, almeno in parte, anche in futuro.

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