«Non siamo dei venditori di illusioni, dei messaggeri di una storia vecchia e patetica, dei poveri uomini che hanno paura di vivere e si rifugiano in favole consolatorie, come ci vogliono far credere. Non siamo i fuggitivi dalla storia, ma siamo ben radicati nel mondo nella misura in cui le nostre radici sono in cielo. La Chiesa non nasce dal nostro fare ma dal nostro contemplare Cristo, risposta all'uomo moderno, confuso e smarrito, ma tanto più bisognoso non delle nostre parole, ma della Parola di verità e di vita. Solo questa illumina il mistero della sua inquietudine». È una giornata di gioia, di gratitudine e di festa per il cardinale Angelo Bagnasco, che nel Seminario di Genova celebra la Messa con decine di sacerdoti e i vescovi della regione ligure nel giorno dei suoi 80 anni. In un’omelia pervasa dal clima di un giorno così speciale trova ampio spazio la riflessione sulla missione del sacerdote, centro delle considerazioni dell’arcivescovo emerito della sua Genova (sebbene la carta d’identità porti accanto alla data del 14 gennaio 1943 la cittadina bresciana di Pontevico): «Quando un Vescovo sente la vicinanza del suo popolo, e innanzitutto del suo clero – dice l’ex presidente della Cei – allora si sprigionano in lui energie che non pensava di avere. I figli hanno bisogno del padre come riferimento e sostegno, ma anche il padre ha bisogno dei figli, della loro paziente benevolenza e collaborazione».
In un tempo di «una certa contrazione delle vocazioni e del clero» Bagnasco vede «una triplice grazia». Anzitutto sui pastori: «Siamo chiamati noi per primi a riscoprire la bellezza del nostro Sacerdozio, a rispettare noi stessi da dentro a fuori, sapendo ciò che Cristo ha fatto di noi. Il sacramento ricevuto è più grande delle nostre persone, noi ne siamo a servizio sempre, ovunque e comunque». Una seconda grazia è relativa al «popolo di Dio», perché «anch’esso ha bisogno di riscoprire la preziosità unica del Sacerdote, la grazia della sua presenza come insostituibile Pastore, Maestro della fede, Dispensatore della grazia, Sposo della Chiesa». Infine c’è una grazia che abbraccia «clero e laici»: «Dobbiamo crescere nella fiducia verso il futuro: avere timore per il domani può essere umano, ma può anche esprimere sfiducia verso Cristo, Pastore grande delle anime, Pastore dei Pastori. Potrà Lui abbandonare la sua Chiesa che è il suo Corpo, la sua Sposa?».
Uno sguardo personale, intimo, come quello del quale Bagnasco fa partecipi i confratelli quando racconta che «negli anni, visitando la Diocesi di Genova e ora ancor più le Chiese della nostra Italia, continua a colpirmi l'immagine dei campanili. È commovente vedere che ovunque - nelle città come nei borghi più sperduti dei monti, delle pianure e delle coste - le case si stringono attorno alla loro chiesa, e su tutti svetta il campanile che mi ricorda la missione di ogni Pastore». L’immagine dei campanili è quella che al cardinale, già a capo del Consiglio delle Conferenze episcopali europee, sembra attagliarsi meglio alla figura del sacerdote. Perché «come il campanile» egli «nella sua vita porta in alto la croce di Gesù, la sua presenza salvatrice», «dev'essere visibile, sapendo che un modo semplice per annunciare il Signore è stare tra le case ed essere riconoscibile non solo per i credenti ma per tutti, anche per chi si dice non credente o di altre religioni, per chi non conosce la figura del Pastore ma ne può rimanere colpito e interrogato», «annuncia il mistero che Dio è con noi, che è disceso fino all'altezza del nostro cuore per dissetare le arsure del mondo» e «attraversa la storia in qualunque stagione e, con dignità senza esibizioni, fa risuonare la letizia che Dio è qui, che si è messo dalla nostra parte, che ci insegna a vivere e ci accompagna sulla via del cielo. Che Dio è fedele anche quando noi non lo siamo con Lui». Ecco il cuore della meditazione di Bagnasco, pastore e padre per tanti che l’hanno conosciuto e gli vogliono bene: «Quando un uomo ha questa missione, allora non ha paura, il suo cuore è abitato dalla gioia, è l'uomo della gioia, una gioia non fatua ma intrisa di sacrificio, e per questo più vera».