Preghiera, impegno e soprattutto testimonianza. Per monsignor Nunzio Galantino è questa la ricetta vincente di una buona pastorale vocazionale. Il neo segretario generale della Cei, alla sua prima uscita pubblica dopo la nomina avvenuta lo scorso 30 dicembre, lo ha detto ieri intervenendo al Convegno dell’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni, che riunisce 550 partecipanti, in rappresentanza di 130 diocesi.
Sorridente e perfettamente a suo agio, il vescovo di Cassano all’Jonio, giunto giovedì sera a Roma, è stato accolto dall’assemblea con un caloroso applauso. Breve, ma nient’affatto di circostanza il suo saluto. «È ormai superato – ha esordito infatti con una battuta – il tempo il cui la pastorale vocazionale veniva identificata con una sorta di "retata". Così come è ormai assodato – ha aggiunto – che senza la preghiera non andiamo da nessuna parte». Tuttavia, ha fatto notare, «dobbiamo acquisire maggiore consapevolezza del fatto che oltre alla preghiera e al nostro impegno è indispensabile l’esempio».
Un concetto questo che monsignor Galantino ha ribadito più volte di fronte all’assemblea, facendo riferimento anche alla sua precedente esperienza di formatore. «Senza esempio da parte delle persone consacrate – ha detto – anche le preghiere rischiano di non andare da nessuna parte». Di qui il suo avvertimento agli operatori vocazionali. «Abbiamo un brutto potere noi: con il cattivo esempio, la mancanza di passione o di lealtà, possiamo anche sterilizzare la preghiera. Per questo l’augurio che faccio a tutti quanti noi è quello di sentirci spinti, in linea con quanto papa Francesco ci sta dicendo, a rendere testimonianza con gioia di quello che viviamo dentro di noi». È dunque necessario, ha concluso il segretario generale della Cei, «avere sempre più persone consacrate e sacerdoti che non siano faccendieri e professionisti della pastorale vocazionale, ma gente che - proprio perché crede in Gesù Cristo e sente la passione forte per Lui - sia capace di spendersi in maniera credibile per gli altri». Infine il vescovo, suscitando ilarità e applausi, ha fatto e si è fatto gli auguri, evidentemente con riferimento al nuovo e delicato incarico che il Papa gli ha affidato.
I lavori del convegno sono poi proseguiti secondo il programma prefissato. Dopo la preghiera presieduta dal vescovo di Rimini e presidente della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata, Francesco Lambiasi – che ha ricordato come «cercare la verità non è cercare un’idea o una cosa, ma una persona, Gesù Cristo, e lasciarsi sorprendere una presenza sempre nuova» – è intervenuto monsignor Nico Dal Molin, direttore dell’Ufficio nazionale. «Che cosa significa oggi essere persone vere? – si è chiesto – Che cosa ci richiede l’apertura e la testimonianza della verità in un mondo dove, talvolta, l’ipocrisia, il double face e la mistificazione della realtà divengono stili di vita diffusi e contagiosi?» Essere persone vere, è stata la sua risposta, «significa raccontare, cercare e amare la verità, fino a farsi carico della vita degli altri con la propria vita». Una notazione, questa, raccolta, anche nei successivi interventi (Daniele Parola con errore di ortografiaRemondini e Maria Pia Veladiano) e anche nel saluto del presidente nazionale del Serra Club, Antonio Ciacci.