Un'aula del Tribunale Vaticano - Archivio Ansa / L'Osservatore Romano
Inizia questa mattina in Vaticano il processo riguardante l’investimento finanziario della Segreteria di Stato nell’ormai famoso palazzo di Sloane Avenue a Londra. Dieci gli imputati. E tra loro c’è anche il cardinale Angelo Becciu. Sarà il primo porporato ad essere giudicato da un Tribunale dello Stato della Città del Vaticano dal momento della sua costituzione nel 1929. E lo sarà anche in virtù del fatto che lo scorso 30 aprile - tre mesi prima del "rinvio a giudizio" formulato il 3 luglio - un motu proprio di papa Francesco ha disposto che anche i cardinali vengano giudicati dal Tribunale ordinario e non, come era previsto in precedenza, dalla Corte di Cassazione che è composta da tre porporati. Anche con le nuove norme rimane però che un cardinale può essere processato solo dopo espressa autorizzazione del Pontefice, che, in questo caso, Francesco ha accordato il 19 giugno.
Il cardinale Becciu, che si è sempre professato innocente, viene processato per i reati di peculato ed abuso d’ufficio anche in concorso, nonché di subornazione (secondo l’accusa avrebbe fatto pressioni su monsignor Alberto Perlasca, all’epoca dei fatti un suo sottoposto, per farlo ritrattare). Oltre al porporato sardo sono imputati l’ex presidente dell’Autorità di supervisione finanziaria (Aif) René Brülhart, al quale l’accusa contesta il reato di abuso d’ufficio; monsignor Mauro Carlino, già segretario di Becciu in Segreteria di Stato, per i reati di estorsione e abuso di ufficio; l’uomo d’affari Enrico Crasso, per i reati di peculato, corruzione, estorsione, riciclaggio ed autoriciclaggio, truffa, abuso d’ufficio, falso materiale di atto pubblico commesso dal privato e falso in scrittura privata; Tommaso Di Ruzza, già direttore dell’Aif per i reati di peculato, abuso d’ufficio e violazione del segreto d’ufficio; Cecilia Marogna, la donna che avrebbe ricevuto dalla Segreteria di Stato somme ingenti per svolgere azioni di intelligence, per il reato di peculato; il finanziere italo-svizzero Raffaele Mincione, che gli inquirenti indicano come il «dominus indiscusso delle politiche di investimento di una parte considerevole delle finanze della Segreteria di Stato», per i reati di peculato, truffa, abuso d’ufficio, appropriazione indebita e autoriciclaggio; l’avvocato Nicola Squillace, per i reati di truffa, appropriazione indebita, riciclaggio ed autoriciclaggio; Fabrizio Tirabassi, dipendente dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, per i reati di corruzione, estorsione, peculato, truffa e abuso d’ufficio; l’uomo d’affari Gianluigi Torzi, chiamato ad aiutare la Santa Sede a uscire dal fondo di Mincione, per i reati di estorsione, peculato, truffa, appropriazione indebita, riciclaggio ed autoriciclaggio. Coinvolte anche quattro società, tre riconducibili a Crasso, alla quale l’accusa contesta il reato di truffa, e una riferibile alla Marogna, per il reato di peculato.
Tra gli imputati non ci sarà monsignor Perlasca, che pure è stato indagato. I magistrati inquirenti, con cui il prelato ha attivamente collaborato, non lo hanno ritenuto responsabile di comportamenti delittuosi.
Le indagini, avviate nel luglio 2019 su denuncia dell’Istituto per le Opere di Religione (Ior) e dell’Ufficio del Revisore Generale, hanno visto la sinergia tra l’Ufficio del Promotore e la sezione di Polizia giudiziaria del Corpo della Gendarmeria. Le attività istruttorie sono state condotte in «stretta e proficua collaborazione» con varie procure italiane e con e il Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Roma e si sono svolte in vari Paesi stranieri (Emirati Arabi Uniti, Gran Bretagna, Jersey, Lussemburgo Slovenia, Svizzera), consentendo, secondo l’accusa, di portare alla luce una «vasta rete di relazioni con operatori dei mercati finanziari che hanno generato consistenti perdite per le finanze vaticane, avendo attinto anche alle risorse, destinate alle opere di carità personale» del Papa. Gli atti dell’inchiesta della magistratura vaticana comprendono circa 29mila pagine che sono state condensate in una richiesta di citazione in giudizio di poco meno di 500. Per gli inquirenti dell’ufficio del Promotore di Giustizia vaticano, due sono le parti lese: la Segreteria di Stato, che si è costituita parte civile, e lo Ior.
Il collegio giudicante è composto dal presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone e dai giudici Venerando Marano e Carlo Bonzano. L’accusa sarà sostenuta dal promotore di giustizia Gian Piero Milano, dall’aggiunto Alessandro Diddi e dall’applicato Gianluca Perone.
Nel sistema giudiziario vaticano è in vigore, con aggiustamenti, la procedura penale adottata in Italia fino al 1989.