La missionaria laica Enrica Salsi, in Madagascar dal 2008 - .
«Ogni martedì al Centro di riabilitazione Aina di Manakara si fanno i gessi per bimbi con i piedi torti: è l’unico della regione per la fisioterapia». E inoltre centinaia di pazienti arrivano dai villaggi più defilati del Madagascar per provare a rimettersi in piedi, per recuperare l’uso delle gambe dopo aver avuto un ictus o un incidente. «Curiamo le paralisi cerebrali e le patologie ortopediche dei bambini, ma anche diverse lesioni negli adulti». A raccontarlo è Enrica Salsi, missionaria laica fidei donum della diocesi di Reggio Emilia.
Laureata in Ingegneria civile, classe 1976, nel 2008 Enrica parte come volontaria per la realizzazione di un progetto di sviluppo sanitario a Manakara e da allora non è più rientrata in Italia. Se non per brevi periodi. In questo spicchio di costa paradiso nell’isola africana delle foreste pluviali, le palme e la barriera corallina, la povertà non consente la cura. «La salute non è mutuabile, va pagato tutto e in anticipo», per cui molte persone non riescono a curarsi, precisa Enrica. Che è tra i protagonisti degli otto docufilm di Luci nel Mondo, Fondazione Missio per l’Ottobre missionario.
Salsi lavora anche nell’ospedale psichiatrico statale “Emokala”, un’oasi di umanità dove ha contribuito a migliorare i servizi e in quattordici anni ha combattuto molte battaglie. Come l’apertura della mensa che fornisce tre pasti al giorno, o l’ampliamento delle infrastrutture.
Il Madagascar, isola dell’Oceano Indiano guidata dal presidente Andry Rajoelina, è particolarmente soggetto ai cambiamenti climatici. La forte siccità lo rende un’isola povera nonostante la ricchezza delle risorse naturali. Oltre l’81% della popolazione è sotto la soglia di povertà. E più del 40% non è in grado di procurarsi cibo. Quasi un bambino su due soffre di malnutrizione cronica. L’ospedale è una benedizione ma raggiungerlo costa fatica. I bambini che non camminano, e persino i ragazzi più grandi «vengono portati in ospedale sulla schiena dei genitori – racconta ancora Salsi –. Noi cerchiamo di pagare un risciò o un altro mezzo di trasporto privato che li accompagni».
L’ospedale non è solo il luogo della degenza. Ma è anche quello della ripresa e del lavoro. «Facciamo attività di falegnameria, stuoie e cucito e ricamo per le donne, nonché attività sportiva», racconta la missionaria. Ci si dedica ad attività di relax legate allo sport. L’idea è quella di dare ai pazienti guariti la possibilità di vivere e mantenersi in autonomia: «Cerchiamo di elaborare percorsi individuali in base ai loro desideri, perché possano imparare un mestiere».
La bellezza di questa missione è considerare il paziente non come un ammalato a vita ma come un essere umano che tornerà nella società dei “sani”. «Abbiamo 115 bimbi inseriti in una quarantina di scuole della zona – spiega ancora la missionaria -. Sono i figli di persone che si curano qui e la scolarizzazione è un grande aiuto per loro, perché porta le famiglie a non perdere un rapporto sano con la normalità della vita».