Daniel Pittet, autore del libro "La perdono padre" durante la registrazione della trasmissione Soul su Tv2000
Pubblichiamo il testo dell’intervista concessa da Daniel Pittet a Monica Mondo per la trasmissione “Soul” andata in onda ieri (domenica 26 febbraio) su Tv2000.
Daniel Pittet è un uomo in piedi. Un cinquantasettenne svizzero alto, ben portante, gioviale, con una grande famiglia, sei figli, un impegno totalizzante nella vita cristiana. È fondatore di un’associazione di fedeli, Prier et témoigner, ha scritto un libro sulle vocazioni che nell’anno della fede è stato scelto da papa Francesco come testo per gli incontri, per le riflessioni, ed è stato diffuso in centinaia di migliaia di copie, Amare è dare tutto. In quell’occasione, incontrando il Papa, Daniel ha fatto trapelare un dolore profondo: «Santità, sono stato violentato per anni da un sacerdote». Il Papa l’ha abbracciato, piangendo, poi l’ha invitato a scrivere la sua storia, come testimonianza per tutti. Esce oggi in Italia La perdono, padre, per le edizioni Piemme: il racconto di un abuso, di una violenza perseguita con le blandizie, con il ricatto, con la soggezione. Daniel era un bimbo fragile, povero, la sua famiglia lacerata dipendeva dalla carità della Chiesa. La cittadina in cui viveva respirava all’ombra della cattedrale: tanta gente buona, religiosi e suore, che si prendevano cura di lui e dei fratelli. Non era possibile, caduti nelle mani di un orco che predicava con fervore in chiesa, dire la verità, sperare di essere creduti. Era un uomo malato, abusato anch’egli? Era perversione, vizio, possesso diabolico? Quel frate cappuccino oggi è un vecchio inconsapevole del male fatto a decine e decine di bambini, isolato dal mondo, ma scoperto troppo tardi, per connivenze, omertà e ritardi della giustizia ecclesiale e civile. Daniel l’ha incontrato, ha provato pietà, ha pronunciato quella parola, perdono. Sofferta, dopo anni di follia, paure, vergogna, terapie psicologiche, la voglia di uccidersi. Daniel è stato sorretto dalla forza della preghiera, non ha mai abbandonato la fiducia in Dio e negli uomini buoni che sono suoi testimoni. La sua fede è intatta. Lo scrive commosso papa Francesco nella prefazione che ha voluto firmare di suo pugno al libro, più duro di uno schiaffo, così scandaloso e realista che si stenta a immaginare il Pontefice a soffrire la sua lettura. Il Papa ha scritto un’introduzione che è più forte di un atto magisteriale, di mille parole e provvedimenti disciplinari. Il crimine orrendo della pedofilia è diffuso, ricorda Daniel Pittet, non solo tra i sacerdoti, anzi. Ma un solo sacerdote colpevole è un’offesa alla vocazione cristiana. Non ci sono più alibi, giustificazioni, nascondimenti possibili: gridate la verità sui tetti, ricorda Daniel. Se fa male, è una buona medicina per rinascere.
Daniel, tu sei un uomo di fede. Parrebbe impossibile, con la storia che hai avuto. Vuoi raccontarla ancora?
Sono di una famiglia molto povera di Friburgo, in Svizzera, famiglia molto devota, non avevo il papà, eravamo poveri e assistiti dai religiosi, io ho fatto il chierichetto nella cattedrale di Friburgo al vescovo, che era sempre molto gentile con me, un ambiente molto bello. Tutti i sabati mattina andavo a pulire la chiesa, la cattedrale, quando un giorno – avevo 8 anni – un sacerdote cappuccino mi si avvicina sorridendo: «Ascolta bambino, ho un merlo che parla e canta, se vuoi vederlo vieni alle due da me». Allora sono andato a casa e ho chiesto a mia nonna: «C’è un cappuccino che abita vicino a noi e che ha questo merlo che parla e che canta e lo posso vedere alle due, posso andare?». Mia nonna mi ha detto: «Sì, vai è una buona opportunità per te, un cappuccino, meraviglioso». Allora sono andato da questo padre cappuccino e il merlo c’era, che parlava e cantava. Poi siamo andati nella sua stanza e lui mi ha chiesto di baciarlo e mi ha violentato.
Vent’anni di silenzio, perché? Mi hai fatto pensare alle vittime scampate all’Olocausto che per decenni non hanno voluto dire nulla, schiacciati dall’orrore. Che cos’è scattato a un certo punto?
Ho scritto questo libro per i miei figli. Ho pensato: il giorno che io muoio vorrei che loro sapessero che ho sofferto enormemente e che forse non sono stato il vero padre che avrei voluto essere. Allora ho cominciato a raccontare i fatti a un’amica, un po’ per volta, e quattro anni fa a scrivere, a correggere e dopo qualche tempo l’amica giornalista mi ha detto: «È una storia fantastica, io comincerò a lavorare, a fare il meglio che posso e troverò un editore». Ho risposto: «Non ho interesse per questo, non ho bisogno di soldi, sono povero , posso rimanere così, non mi importa». Ma la Provvidenza ha deciso diversamente.
Tre anni fa hai scritto un libro sulle vocazioni, il titolo stesso te l’ha dato papa Francesco, quando l’hai incontrato: “Amare è dare tutto”. È lì che avete pensato insieme che la tua storia andava raccontata?
Ho deciso dopo molti anni di riflessione di scrivere un libro per ringraziare le suore che si sono occupate di me quando ero piccolo e ho chiesto a queste suore: «Mi potete dire perché avete deciso di essere suore, avete deciso di continuare su questo cammino?» Tutte in coro hanno detto: «Non è possibile, abbiamo tutte 80 anni, tra poco moriremo, non servirà a niente». Allora ho scritto una lettera a tutte le comunità religiose della Svizzera e ho detto: «Questa è l’ultima linea diritta prima di vedere Gesù. Scrivete la vostra testimonianza, bisogna lasciarla come ricordo che voi avete amato, siete state vicine a Dio, perché tra pochi anni non sapremo più che tutto questo è esistito». Ho ricevuto moltissime testimonianze e ho fatto scegliere dei testi a persone senza fede, persone al di fuori della Chiesa; abbiamo scelto così venti testi e li abbiamo messi insieme in un libro e abbiamo cercato di pubblicarlo. Proprio in quel tempo papa Francesco ha deciso che sarebbe stato l’Anno della vita consacrata e allora, visto che volevo fare le cose in grande, ho detto: «Perché non chiedo al Papa di fare una prefazione al libro? ». E ho avuto un’ottima opportunità, sono andato a trovarlo e gli ho detto: «Ecco vorrei fare questo libro, cercherò di guadagnare milioni con questo libro». Il libro è stato tradotto in quindici lingue e il Papa mi ha detto: «Io farò pubblicità a questo libro». E quando gli ho detto “grazie” lui mi ha risposto: «La fede ti ha portato fin qui!». Ma c’è più di questo, c’è qualcos’altro. Così l’ho detto: «Io sono stato violentato per quattro anni da un sacerdote».
Il Papa ti ha invitato a scrivere la tua storia e ha voluto scrivere una prefazione sconvolgente, com’è sconvolgente il solo fatto che abbia letto le parole crude, i ritratti così realisti che hai avuto la forza di mettere in pagina. Ha parlato di «un orrendo peccato… della severità estrema verso i sacerdoti che tradiscono la loro missione e con i vescovi e i cardinali che li proteggono».
Papa Francesco ha sentito che c’è una svolta nella Chiesa, che bisogna essere veri, duri, che bisogna smettere di accettare e coprire la pedofilia, perché è orribile, ma bisogna dire anche che la maggior parte dei pedofili è nell’ambito familiare e ci sono milioni di persone che vengono violentate ogni giorno nel mondo. Il Papa lo sa e forse questo libro farà sì che la gente parli.
Ti sei chiesto, con il Papa, «come può un prete che ha consacrato la sua vita per condurre i bambini a Dio divorarli in un sacrificio diabolico?». È la perversione, il diavolo, l’uno che causa l’altra, o solo la malattia?
Secondo le statistiche mondiali tre persone su mille sono pedofile, quindi se si guarda la Francia su 80 milioni di abitanti, 340 mila pedofili. Qui in Italia è la stessa cosa, milioni di vittime dovunque. Quindi c’è omertà, occorre dirlo. Se non si può parlare si è morti, si arriva al suicidio. Io sono stato fortunato, sono stato riconosciuto un giorno da un amico e lì ho potuto rivivere. Le persone che sono state violentate devono avere la possibilità di parlare a degli amici in modo serio, sicuro e poi con un medico, devono essere riconosciuti.
Tu, dice il Papa, non hai perso la speranza negli uomini e in Dio. Non hai mai abbandonato la forza della preghiera. Perché? Hai incontrato monaci buoni e fedeli, hai avuto la sorte di incontrare dei santi, come Giovanni Paolo II, come Jean Vanier… «La mia fiducia nella Chiesa è intatta», hai detto.
Se c’è un sacerdote che mi ha distrutto per tutta la vita e io ho problemi fisici, psicologici che dureranno per sempre, come controparte ho conosciuto centinaia di persone, monaci, religiosi, religiose che mi hanno aiutato nella vita in modo straordinario; quindi non posso buttare via la fede perché oggi se sono vivo è grazie a Gesù Cristo.
Perché si ha paura di denunciare? Molti si erano accorti della violenza che il cappuccino Allaz esercitava su di te. Uomini di Chiesa, insegnanti, parenti… perché la vergogna, il silenzio?
Quando avevo 11 anni questo padre cappuccino ha fatto un’omelia in una chiesa: era la festa dell’Assunzione della Vergine Maria. Io amo molto la Madonna e lui ha parlato così bene che tutti piangevano. Sapevo che dopo mezz’ora da quello stesso mi avrebbe violentato. E ho guardato queste persone che piangevano e mi sono detto: «Lui è un buon sacerdote, ma d’altra parte c’è questo uomo cattivo, questo porco in lui. E allora adesso lo perdono ». Avevo 11 anni e con quel perdono io ho potuto crescere e costruire me stesso.
Spesso i pedofili sono a loro volta vittime di abusi. Ma tu dici: «Ha vissuto un’infanzia atroce, ma ha scelto di persistere in quella vita. Si può sempre tirarsi fuori dal pantano». Credi che si tratti di perversione, di malattia, dell’una e dell’altra?
Un pedofilo perverso è malato. E se le persone che sono intorno a lui non fanno nulla questo malato violenterà decine e decine di persone. Il mio aguzzino l’ha fatto con oltre duecento bambini, duecento forse di più. È una piaga che tocca gli uomini, non una parte di essi, preti, insegnanti… È troppo duro vedere, è terribile! Allora non vuoi sapere, nascondi. Ancora oggi è così anche in Italia, ma bisogna sapere che ancora ci saranno dei bambini che moriranno dentro, forse si suicideranno, ed è per questo motivo che il Papa fa tutto quello che può per togliere questa omertà dalla Chiesa. Anche i miei parenti non hanno voluto vedere: perché nella mia famiglia eravamo molto religiosi, quindi non mi avrebbero mai creduto; così gli insegnanti, e perfino lo psichiatra da cui i maestri e mia nonna mi avevano mandato visto che avevo problemi a scuola. Quel padre cappuccino mi offriva di andare in vacanza, dei regali, del cibo. E mia madre: «Ah che bello, grazie mille, ah il padre cappuccino». Un giorno mia madre stava lavando e mi ha detto: «Che cos’è quella macchia che hai lì sulla maglia?». Io ho detto: «È pipi». E lei ha fatto: «Va bene». Era sperma. Perché quell’uomo aveva guardato delle foto pornografiche su di me e io poi non mi ero asciugato. Mia madre gli ha perfino chiesto: «Padre, lui non ha il papà e quindi se vuole insegnargli lei la sessualità sarebbe una bella cosa». Eppure mia mamma non è colpevole perché lei aveva fiducia nella Chiesa ed è la Chiesa che l’ha ingannata.
Come l’hai guardato quando hai voluto incontrarlo tanti anni dopo? Con pena? Con odio?
Era un vecchio. E non ha mai detto la verità. Credo che lui sia stato violentato da piccolo ma non lo dice. «Avevo una dipendenza per il sesso, mi piaceva il sesso, non sono cresciuto, sono rimasto sempre con i piccoli». Così sembrava giustificarsi, senza dire tutto l’orrore che ha fatto. Un giornalista mi ha detto: «Tu hai perdonato il padre cappuccino, ma tu perdoni anche quelli che si sono occupati di lui, che l’hanno coperto? ». E questa è una buona domanda, perché è molto duro perdonare. Nel mio caso ci sono state più di 150 vittime dopo di me e siamo stati violentati a causa del loro silenzio, e questo sarà giudicato da Dio.
Sei rimasto segnato nella salute psicologica e fisica. Il Papa ha detto che sei un uomo fragile, ma in piedi.
Fondamentalmente ho avuto fortuna perché quando mi sono sposato ho annunciato alla mia futura sposa che ero stato violentato e lei mi ha chiesto se ero pedofilo anch’io: purtroppo a volte succede è un rischio. Ho detto “no”, non credo, non lo so, non credo. E mi ha detto che dovevo andare da uno psichiatra. Con lui ho scoperto che non ero rimasto segnato così a fondo, non ero un pedofilo. Abbiamo fatto un lungo cammino insieme, medico e spirituale. Lei mi ha dato la forza, mi ha amato totalmente con fiducia e io non ho mai avuto un problema con i miei figli: li ho sempre cambiati, sono bravissimo a pulirli, a giocare con loro. La fiducia che mi ha dato mia moglie mi ha dato la forza di occuparmi dei miei figli e per me è stato un rinnovamento enorme della mia vita.
Che padre riesci ad essere? Con Quali paure, insicurezze, vergogne?
Quando ho detto ai miei figli: «Ecco uscirà questo libro, forse vi annoierà ma è la mia vita, che cosa ne pensate? », i miei fratelli e le mie sorelle mi avevano detto: «Sei matto, rovinerai l’immagine della nostra famiglia». Ma ho pensato: «Io sono libero, è la mia vita e tutto è vero in questo libro». Una sera avevo ricevuto le bozze, le ho lasciate in un cestino nel bagno in un momento di sconforto e mio figlio Eduard di 12 anni è andato a cercare quelle pagine, e per tutta la notte ha letto la bozza del libro. E la mattina mi ha detto: «Papà, ho letto il libro». Ho reagito, sgomento: «No, cosa hai fatto! Non lo dirai a tua madre. Come hai potuto farlo?». «Papà, io sono tuo figlio, credo in te, mai ti lascerei, tu sarai sempre il mio papà».
Papa Francesco le avrebbe detto le stesse cose, tu sei mio figlio, mio fratello io credo in te, nessuno si scandalizzi della verità.
Io vorrei dire a tutti quelli che soffrono, a quelli che sono stati violentati anche qui in Italia – se ne sa meno da voi, ma sono sicuro che sono in tanti – io prego per voi, io prego padre Pio e tutti i santi perché voi possiate ricevere delle grazie. Perché quello che mi ha salvato è la preghiera. Per ore pregando da solo in una chiesa, perché Gesù è in ogni chiesa. Gli ho raccontato, ho chiesto aiuto a Lui. E Gesù risponde sempre.
LA PREFAZIONE DI BERGOGLIO AL SUO LIBRO CONFESSIONE
Daniel Pittet, nato nel 1959, è bibliotecario all’università di Friburgo, in Svizzera, dove vive con la moglie e sei figli. Nel 2015 è stato autore di un libro di successo, “Aimer c’est tout donner” (Amare è dare tutto), una raccolta di testimonianze luminose di religiose della Svizzera francofona. Nell’ottobre 2014 aveva incontrato il Papa a Santa Marta. Ma è stato l’anno seguente, in un altro incontro sempre a Santa Marta, che ha potuto rivelare a Francesco la tragedia che ha segnato la sua vita: l’essere stato abusato sessualmente per quattro anni, dall’età di otto anni, da un frate cappuccino, Joël Allaz, condannato nel 2012 dal tribunale di Grenoble a 2 anni di reclusione con la condizionale, oggi confinato in un convento vicino a San Gallo. Una tragedia nella tragedia. Figlio di un padre affetto da problemi psichici, perso praticamente subito – aveva minacciato con un coltello e poi sfregiato la madre mentre era incinta ed era stato internato e sottoposto a cure psichiatriche – Pittet era poi incappato in quel religioso che si sarebbe rivelato non un altro padre, ma un predatore. Passato poi per un’esperienza come novizio nell’abbazia benedettina di Einsiedeln, Pittet ha avuto bisogno di quasi vent’anni di psicoterapia, un lavoro profondo di recupero per sanare la sua infanzia violata. Ora raccontato in un libro choc, a cui Bergoglio ha accettato di scrivere la prefazione.