sabato 21 luglio 2012
COMMENTA E CONDIVIDI

Ricorda senza tentennamenti la data in cui è entrato per la prima volta in quella canonica. «Era il 15 marzo 1947. Sono arrivato con un furgoncino in cui avevo racimolato poche carabattole. Ed è stata mia mamma a portare qualche mobile di famiglia», racconta don Luigi Granelli.Martedì compirà 92 anni. E da 65 guida la parrocchia di Ponticino, paese di 2500 anime a pochi chilometri da Arezzo ma nel Comune di Laterina. Sempre parroco della stessa comunità. «Frugando nella memoria – confida con voce limpida – non trovo eventi sorprendenti che hanno caratterizzato questi decenni. È stato un ministero vissuto nell’ordinario. E forse proprio questa cronaca lineare di santità quotidiana che può essere sperimentata anche in una comunità di periferia va considerata il tratto distintivo del mio essere prete».Sacerdote in mezzo alla gente, don Luigi. Fin dalla sua ordinazione, l’11 luglio 1943. Per quattro anni è stato cappellano a Levane, nel Valdarno aretino. Poi la «promozione» a parroco di Ponticino. «Avevo conosciuto il paese passandoci in bicicletta mentre andavo in Curia ad Arezzo. Un amore a prima vista – spiega –. Quando ho saputo che la parrocchia sarebbe diventata vacante, ho chiesto al vescovo di poter subentrare al mio predecessore». Una proposta accolta.«Voglio bene alla mia gente – ci tiene a precisare don Granelli di fronte alla sua scrivania –. Ho visto crescere e cambiare intere generazioni. Mi sento come un nonno o uno zio per molte famiglie».Nella cittadina sottolineano il suo carattere deciso ed espansivo. «Ho scelto di incontrare il popolo di Dio che mi è stato affidato puntando sul tratto umano. In fondo il volto del sacerdote deve rispecchiare il volto del Signore. Certo, siamo uomini con le nostre fragilità e le nostre piccolezze. Ammetto che in questi decenni non sono mancati alcuni momenti di sconforto. Ma ho sempre trovato nel Vangelo la forza per essere un piccolo segno di speranza fra queste case».Ponticino era (ed è) quasi un dormitorio. «Fin dal dopoguerra è stato un paese operaio – afferma il sacerdote –. Al mattino andavo in stazione per contare quanti lavoratori partissero per Firenze: erano centinaia. E gli influssi ideologici che arrivavano dalla città hanno segnato il cammino della comunità. Non è stato facile vivere un’esperienza ecclesiale in una terra "rossa". E spesso il rapporto con la fede si riduceva all’incontro con i sacramenti».Oggi il furore politico è soltanto storia. «Ma è stato soppiantato da un’altra ideologia, probabilmente più complessa: è quella che unisce individualismo e consumismo», avverte don Granelli che traccia con lucidità un quadro di questo tempo di crisi. Il 92enne parroco sfoglia i giornali e abbraccia le intuizioni di Benedetto XVI. «Il Papa ci esorta alla testimonianza. Nulla di più attuale anche qui a Ponticino. Dall’altare o negli incontri ripeto che la fede si attacca. Le nostre comunità sono chiamate a far innamorare al Vangelo. Sicuramente oggi occorre uscire dalle sacrestie. A cominciare dal prete».Don Luigi guarda al passato per progettare il futuro. «Quando mi domandano che cosa si sia trasformato in questi 65 anni, rispondo che è stata la famiglia a subire la più profonda metamorfosi. La grande preoccupazione del lavoro influenza tutti i rapporti. Le agende domestiche sono fitte di appuntamenti. Non c’è mai tempo per l’altro. E si rischia di chiudersi in se stessi».Sarà anche per questo che don Granelli ha un’attenzione privilegiata per l’associazionismo cattolico. «I percorsi condivisi e l’impegno per il bene comune sono due sfide che vanno affrontate nelle nostre parrocchie. La fede deve farsi vita. E c’è bisogno di sentirci responsabili del prossimo, non di guardare dall’altra parte».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: