Il Papa nella Sinagoga di Roma il 17 gennaio 2016 - Fotogramma
A volte la storia sembra non insegnare nulla. O forse siamo noi che ci tappiamo le orecchie, che chiudiamo gli occhi per non vedere la sofferenza dell’altro, che allunghiamo il passo davanti all’orrore permesso dalla nostra indifferenza. Altrimenti non si spiegherebbe l’ennesimo tragico rifiorire dell’antisemitismo, che come un’onda di vergogna non si ferma mai. Però l’antidoto esiste, la medicina è incontrarsi senza pregiudizi, si chiama conoscenza. Ingredienti intorno ai quali si articola l’appuntamento del 17 gennaio. Ogni anno dal 1990 la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei si propone proprio questo: imparare a guardarsi con cuore disarmato, riconoscendo lo strettissimo legame tra le due comunità di fede. Nel 2022 come tema per la la 33ª edizione dell’iniziativa, la Commissione episcopale Cei per l’ecumenismo e il dialogo ha scelto un passo del profeta Geremia: “Realizzerò la mia buona promessa” (Ger.29,10). «Il dialogo ebraico-cristiano si presenta ormai coma una necessità – sottolinea il professor Marco Cassuto Morselli presidente della Federazione delle Amicizie ebraico-cristiane in Italia, già docente di storia e filosofia nei licei –. Ogni tanto ci sono dei problemi ma credo sia inevitabile. Come scrive papa Francesco nella prefazione al I volume della “Bibbia dell’amicizia”, dopo 19 secoli di antigiudaismo pochi decenni di dialogo non possono risolvere tutto». Il tema della Giornata di quest’anno sembra particolarmente adatto al tempo che viviamo. «Un testo molto bello ma anche problematico – aggiunge Cassuto Morselli –. Vedo due ordini di difficoltà. Il primo, di metodo. Quest’anno infatti per ragioni sicuramente contingenti non c’è stata una scelta condivisa del tema e una duplice trattazione, com’era consuetudine. Ma credo, ripeto, che sia dipeso da ragioni particolari, come il ritardo nella nomina della nuova Commissione episcopale della Cei».
Marco Cassuto Morselli - Immagine di repertorio
L’altra questione, mi sembra di capire, è di contenuto.
Bisognerebbe tenere conto di quanto è drammatico il contesto di Geremia: siamo tra la prima e la seconda deportazione a Babilonia, con il piccolo regno di Giuda lacerato tra le due grandi potenze, quella babilonese e l’Egitto. Geremia manda questa lettera da Gerusalemme agli esiliati invitandoli a non lasciarsi abbattere dalle difficoltà, dalle tragedie che vivono. Chiede di non covare sentimenti di risentimento o di vendetta ma di riprendere invece la vita, costruendo abitazioni, mettendo al mondo figli. In questo modo contribuiranno non solo al loro benessere ma a anche a quello dell’intero Paese in cui sono. Ed è quanto le comunità ebraiche hanno cercato di fare durante l’altro grande esilio, iniziato nell’anno 70 quando i Romani hanno distrutto il tempio e continuato per 19 secoli.
Cresce l'antisemitismo
La Giornata quest’anno è particolarmente importante anche per la crescente ondata di antisemitismo che si registra a tutti i livelli.
Il modo migliore per combattere l’antigiudaismo/antisemitismo consiste nel far conoscere l’ebraismo. E qui una delle difficoltà è numerica: gli ebrei sono molto pochi, lo 0,2 per cento della popolazione mondiale mentre i cristiani sono due miliardi. E ovunque ci sia un cristiano esiste un’immagine interiore di un ebreo. Si tratta di vedere se questa rappresentazione è di contrapposizione o no, se cioè buon cristiano vuol dire essere l’opposto di un ebreo, dove l’ebreo è il materialista, il formalista eccetera. Oppure se invece si può vivere la propria religione indipendentemente da questa ostilità nei confronti dell’altro.
L'eremo di Camaldoli - Immagine di repertorio