Giovanni D’Alessandro, scrittore e saggista, vive e lavora a Pescara. In questo dialogo, ci aiuta a comprendere meglio la sua terra.
Che regione è nell’anno 2013 l’Abruzzo?È una terra di persone serie, tenaci e in cui il consumismo e l’individualismo, come in altre parti d’Italia non sono ancora del tutto prevalsi, trovandosi a reagire con una cultura secolare che ha conosciuto, per ragioni storiche e territoriali, anche una certa solidarietà. Questo come radici, senza voler fare un ritratto ottimistico o affettuoso dell’Abruzzo, regione che, purtroppo, da decenni ha mancato l’appuntamento con un reale sviluppo sociale, nel senso di rappresentatività della collettività in sede politica e istituzionale. E l’ha mancato anche dal punto di vista economico: siamo la regione meno depressa dell’area settentrionale del Sud, ma non ci siamo agganciati al Centro, se per tale s’intendono regioni come le Marche o la Toscana.
Cosa ha generato questa situazione?Una mancanza d’imprenditorialità. È vero che i nostri vicini marchigiani e romagnoli hanno una marcia in più quanto a individuazione di potenziali mercati e propositività. Ma alla politica conveniva tenere l’Abruzzo come un feudo depresso; come un serbatoio di voti da legare a sé con vincoli di dipendenza. Questo purtroppo si è saldato, soprattutto nell’entroterra, a una cultura di secolare non-reazione alla mancata rappresentatività del contesto politico-istituzionale, percepito come una sovrastruttura non modificabile.
L’abruzzese è sempre forte e gentile?Sì, lo è, luoghi comuni a parte. Ma della componente di forza vorremmo che venisse fuori anche la reattività, qualche volta, senza consegnarla come retaggio letterario a qualche isolato eroe, quale il siloniano Berardo di Fontamara.
«Abruzzo: una terra in cammino all’ombra della croce» scrisse l’antropologa Maria Concetta Nicolai: è ancora così? Che ruolo vede per la Chiesa in questo contesto che lei ha descritto?È certo una terra di grande spiritualità, che si è espressa nel corso dei secoli in forme peculiari, sorprendenti e di un certo peso. Oggi qui la Chiesa può fare moltissimo. Abbiamo degli ottimi sacerdoti: aperti, attivi, solidali, animati da una nuova aderenza al messaggio cristiano. E i nostri vescovi, molti dei quali anche giovani, sono proprio… "vispi"!, per usare un termine elogiativo, volutamente non paludato. Sono presenti in sede sociale, culturale, economica, organizzativa. Bene. Forza. Coraggio. Guardiamo se da loro può venire il cambiamento che la politica non esprime. Credenti o no, praticanti o no, siamo tutti
ecclesia. Vediamo se come
ecclesia aprutiensis riusciamo a fare qualcosa insieme, individuando spazi nuovi e percorrendoli.
A cosa pensa? A un laboratorio di presenze laiche e religiose da far nascere in Abruzzo, con una missione precisa: intercettare il bisogno, espresso o nascosto – ce n’è tanto – e provare a gestirlo. Con una certa indipendenza e anarchia rispetto alle forme istituzionali. Questa è terra di montagne. Proviamo a concretizzare il discorso della montagna e a far nascere qui, intanto, parte del prodromo terreno delle beatitudini celesti. Non vengono esse dalla matrice del bisogno umano e della sua gestione?