Il racconto della Passione con le parole di Gesù, «con i suoi pensieri e le sue sensazioni lungo la Via Crucis». Ma anche riflettere «sulla risonanza» che quel cammino verso il Golgota «provoca in noi». Renato Corti, vescovo emerito di Novara, ha scelto questa doppia modalità per le meditazioni che quest’anno saranno lette durante la Via Crucis al Colosseo con la partecipazione di papa Francesco il prossimo Venerdì Santo.
Lei ha scelto per le sue meditazioni come filo conduttore il tema del «custodire». Ma come si può declinare questo verbo all’interno di una Via Crucis?Quando ho saputo di questo incarico, ho subito ripensato all’inizio del pontificato di Francesco e alla sua omelia nella Messa di inizio magistero petrino. E il termine «custodire», ricorrendo quel giorno la solennità di san Giuseppe «Redemptoris custos», è stato il primo ad essere pronunciato. Quella custodia che Dio ha nei nostri confronti con l’amore della Croce e che noi siamo chiamati ad avere verso gli altri perché siamo figli di Dio. Ecco nelle quattordici stazioni della Via Crucis cerco di offrire qualche esempio concreto di questo saper custodire l’amore in famiglia, nel creato, nei rapporti con gli altri. Senza dimenticare che vi sono purtroppo molti esempi contrari, che profanano e distruggono questa custodia. Rileggere quell’omelia mi ha portato a pensare che mai quanto oggi quel verbo è significativo.
Anche alla luce dei tanti esempi di «non custodia»?Senza dubbio. Oggi viviamo in una situazione che offre molti esempi contrari al saper custodire, all’avere a cuore l’altro.
Insomma una Via Crucis che oggi «rivive» in fatti e persone concrete?Meditare sul cammino di Cristo verso il Calvario, vuol dire partecipare intensamente e intimamente a quel percorso, a quella sofferenza, quasi a considerare la "carne viva di Gesù".
Termine quest’ultimo molto caro a papa Francesco.Oggi quella «carne viva di Gesù» sono i poveri, ma anche quanti danno testimonianza della loro fede con la vita. Penso ai tanti cristiani perseguitati oggi e nel passato. Ma resto anche colpito dal racconto di alcuni di questi martirii in cui nostri fratelli e nostre sorelle sono andati incontro alla Croce con gioia. Due esempi? Un gruppo di suore rapite e uccise durante il genocidio in Ruanda che mentre venivano condotte alla morte si sono messe a cantare. O la raffigurazione dei martiri di Nagasaki che cantano mentre vanno verso il supplizio.
Come si può «vivere» ai nostri giorni la Via Crucis?Credo che sia importante condurre il fedele alla commozione del cuore, all’empatia con il cammino di Gesù. Per questo ho scelto di dare a Lui la parola nella prima parte della meditazione di ogni stazione. E poi conta molto l’animus di chi presiede. È lui stesso che deve commuoversi e portare alla commozione. Altrimenti si rischia di restare sulla soglia, ma di non saperla più oltrepassare.
Ci sono stazioni della Via Crucis che ha commentato per il prossimo Venerdì Santo che sente maggiormente vicine alla sua sensibilità?Nella seconda stazione (Gesù abbraccia la sua croce) riporto alcune parole pronunciate da Shahbaz Bhatti, il ministro pachistano ucciso dagli integralisti per la sua azione in favore dei cristiani e delle minoranze religiose. O alle parole che nella quarta stazione (Gesù incontra sua Madre) faccio pronunciare a Maria, ma che appartengono a Gregorio di Nazianzo, dottore e padre della Chiesa, davanti al figlio condotto in catene e in cammino verso la morte.
Come ha vissuto l’incarico ricevuto? Come si è preparato per la scrittura delle meditazioni?Mi ha chiamato il cardinale Parolin per comunicarmi questo incarico, lasciandomi libero di scegliere il tema. Mi sono preparato dedicandomi alla lettura, prolungata e calma, dei racconti evangelici, proprio per raggiungere quella commozione del cuore di cui ho parlato prima. Un lavoro che in primo luogo è servito a me. E di questo sono grato.