Un'immagine dall'archivio Ansa
“Condividere buone pratiche nella lotta contro il traffico di esseri umani e le nuove schiavitù”. È questo l’obiettivo principale della quinta riunione del Gruppo Santa Marta, un organismo internazionale contro il traffico di esseri umani lanciato nel 2014 da Papa Francesco, che si è conclusa oggi in Vaticano, culminato con l'udienza di papa Francesco.
Tra le azioni positive da mettere in atto, oltre all’assistenza alle vittime, c’è anche quello di migliorare il rapporto con i media, garantendo “trasparenza” su “un lavoro di strategia a lungo termine” e assicurando così “la crescita della consapevolezza del fenomeno della tratta”. Così si legge nel comunicato finale diffuso dopo l’udienza odierna con Papa Francesco, nel quale si specifica che nel corso delle sessioni di lavoro si è parlato anche del contributo delle agenzie internazionali, “introducendo il ruolo del settore privato”.
Al termine dell’udienza papale si è tenuta una conferenza stampa cui ha preso parte il presidente del Gruppo, il cardinale Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, insieme ad altri partecipanti all’evento. Il porporato ha spiegato che a questo quinto incontro annuale hanno partecipato un centinaio di persone provenienti da 30 Paesi, in prima linea nella lotta contro il traffico di esseri umani e a fianco delle vittime.
“Sono 42 milioni le persone in stato di schiavitù nel mondo – ha osservato Nichols – e questo dramma non è mai stato così grande come ora”. Ai nuovi schiavi, ha fatto notare Nichols, ha citato i 4,4 milioni di marittimi sfruttati sui pescherecci di tutto il mondo, per liberare i quali si sta lavorando per “costruire ponti di collaborazione a livello locale, nazionale e internazionale”. C’è poi il rapporto tra Paesi d’origine e Paesi di destinazione: “Non bisogna mai pensare che un Paese sia soltanto un Paese di destinazione, è spesso anche un Paese di origine, da cui partono le persone destinate ad essere i nuovi schiavi”, ha fatto notare l’arcivescovo di Westminster.
Salutando il Papa nel corso dell’udienza Nichols ha sottolineato che il fenomeno della tratta degli esseri umani e della altre “forme moderne” di schiavitù costituiscono Il “lato oscuro della globalizzazione”. Si tratta di una “sfida grande”, l’ha definita il porporato, ringraziando il Pontefice per il suo “incoraggiamento” e spiegando che l’impegno del Gruppo si propone innanzitutto di “approfondire la nostra cooperazione per promuovere un’autentica presa di coscienza e responsabilità locale”, anche creando “partnership” come quelle nate in Argentina, Europa dell’Est, Africa e Asia.
L’altro versante dell’impegno è quello nei confronti dei governi, affinché “guardino in faccia” i nuovi schiavi e s’impegnino concretamente a “perseguire gli autori di questi crimini malvagi e brutali”. Come riferisce l'agenzia Sir, il presule nigeriano Augustine Akubeze, vescovo di Benin City, conversando con i giornalisti ha osservato che “se non hanno un lavoro i giovani rischiano di essere confusi da strade fuorvianti e pericolose”. Di qui l’attualità del messaggio indirizzato di recente dai vescovi nigeriani proprio a loro. Buona, in Nigeria, la collaborazione con la polizia e con il governo, presso il quale tuttavia secondo Akubeze è necessaria una “maggiore presa di coscienza per arrivare ad arrestare i responsabili di questi crimini”.
Da parte sua il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, interpellato sulla situazione del Myanmar, Paese recentemente visitato dal Papa, ha posto all’attenzione dei media ancora una volta la questione dei 2,5 milioni di Rohingya i cui diritti non vengono ancora riconosciuti e ha citato il dramma dei circa mille pescherecci dispersi in mare e dello sfruttamento della prostituzione verso la Cina.
Quanto al lavoro di questi giorni, il porporato birmano lo ha definito “molto costruttivo soprattutto per lo scambio di esperienze tra i cinque continenti, in modo da nutrire la fiducia reciproca e condividere la ferma determinazione nel fare tutto quanto è nelle nostre possibilità per porre fine a quella che il Papa ha definito una vergogna e uno scandalo”.
I due giorni di lavoro del Santa Marta Group si sono tenuti a porte chiuse. Giovedì 8 febbraio, - memoria liturgica di Santa Giuseppina Bakhita, la vergine sudanese che nell’800 fu vittima della schiavitù e poi, liberata, diventò cristiana e si fece religiosa canossiana - la sessione si è conclusa nel pomeriggio con la Messa presieduta in San Pietro dal cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin. Nell’omelia, diffusa oggi dall’Osservatore Romano, il più stretto collaboratore di papa Francesco ha ricordato che "oltre il 70 per cento delle vittime della tratta sono donne e ragazze e un terzo di loro sono minorenni”.
Ogni vittima della tratta "è presente agli occhi di Dio", ha sottolineato il porporato vicentino. Lo sono "i pescatori ridotti in schiavitù sui pescherecci; i padri di famiglia costretti a fare lavori inumani dopo aver sperato di ricostruire una vita dignitosa all'estero; e i bambini con disabilità costretti a chiedere l'elemosina. Così come lo sono "i bambini abusati dai pedofili; le donne gettate per le strade della città e sfruttate per la pornografia e la prostituzione; le ragazze e le giovani donne costrette a sposarsi con uomini molto più anziani; e le persone derubate dei loro organi attraverso l'inganno, la frode, la violenza. Ognuno di loro è presente agli occhi di Dio".
Un particolare pensiero il Segretario di Stato vaticano lo ha rivolto ai migranti. Perché, ha spiegato, "tristemente, troppo spesso, in situazioni di guerra, violenza, fame e impossibilità di sopravvivere, l'unica speranza di salvezza per molte persone è tentare la fortuna all'estero, anche se sono consapevoli dei rischi connessi". Primo tra tutti quello di venire "ingannati, anche da parenti e amici" o di finire nella ragnatela - "che coinvolge tragicamente quasi tutti i paesi del mondo" – tessuta da trafficanti cinici, insensibili e corrotti.