Nel gesto di un ministro esponente di Hezbollah che insieme a un accademico sunnita, un arcivescovo maronita e altri esperti accetta per un paio d’ore di paragonarsi con il libro delle catechesi del Papa sulla preghiera tradotte in arabo, c’è qualcosa di più che una pura formalità diplomatica o intellettuale. Si coglie un frammento dell’esperienza religiosa e della complessità libanese, che preannuncia l’intensità della prossima visita di Benedetto XVI nel Paese dei Cedri. L’incontro ha avuto luogo ieri all’Università Saint-Joseph di Beirut dove, su iniziativa della Fondazione Internazionale
Oasis e alla presenza del nunzio Gabriele Caccia, si sono riuniti l’arcivescovo maronita di Beirut, Paul Matar, il ministro dell’Agricoltura libanese, Hussein Hajj Hassan, il presidente dell’università islamica Makassed, Hisham Nashabe e Gabriel Hachem, professore di teologia, per la presentazione in Medio Oriente del volume dal titolo «Signore, insegnaci a pregare». Appena uscito in coedizione Librairie Pauliste di Jounieh-Marcianum Press di Venezia, il piccolo volume contiene il percorso delle udienze generali di Benedetto XVI dedicate lo scorso anno alla preghiera. Voluto per promuovere la conoscenza del magistero del Papa nella lingua dei cristiani arabi, questo libro già al suo primo lancio si è proposto come uno strumento capace di favorire l’incontro tra cristiani e musulmani intorno a quella che è per entrambi un’esperienza irrinunciabile. Dopo l’introduzione dell’arcivescovo Matar, che ha ripercorso l’insegnamento del Papa e il suo instancabile impegno a mostrare la ragionevolezza della fede, la parola è passata agli ospiti musulmani. «Un detto islamico dice di non temere quelli che temono Dio. Perché solo quando gli uomini hanno un dialogo diretto, intimo, con Dio possono aprirsi agli altri in modo autentico», ha sottolineato il ministro Hussein, dopo aver ribadito la grande opportunità che è per il Libano accogliere una personalità come il Papa che sa spronare «all’uso della ragione contro ogni ricorso alla violenza». «La preghiera non è un’azione tra le altre – ha aggiunto Nashabe – perché è l’azione di Dio in noi. Questa sola ci permette di intraprendere un cammino di dialogo. Leggendo queste pagine sono stato arricchito io come musulmano: l’esperienza degli uni in questo campo illumina gli altri. Per questo noi abbiamo bisogno dei cristiani in Medio Oriente».Un tema questo della «reciproca rilevanza» del Cristianesimo per l’islam e viceversa, che
Oasis, fondata e presieduta dal cardinale Angelo Scola, appare intenzionata a indagare ancora.