«L’apporto di quest’enciclica è fondamentale, soprattutto oggi. In un momento in cui l’uomo può dubitare di se stesso più che mai, essa è un formidabile appello alla speranza. Da tanto tempo, al più alto livello, non si udiva un messaggio così ottimista e al contempo concreto sull’uomo». Fra una citazione della Caritas in veritate e un’altra, la voce di Michel Camdessus s’impenna a tratti su corde d’emozione. L’ex direttore del Fondo monetario internazionale ( Fmi), nonché governatore onorario della Banca di Francia ed ex presidente delle Settimane sociali d’Oltralpe, resta in prima linea su vari fronti, fra cui quello dell’emergenza idrica mondiale in qualità di consigliere speciale dell’Onu.
Quali impressioni le ha lasciato la prima lettura dell’enciclica? È un testo che scuoterà, direi quasi sconcerterà, ma in positivo, molti cristiani impegnati nella vita politica, sociale ed economica. Molti si attendevano un messaggio sulla crisi finanziaria, ma l’enciclica mostra che quest’ultima è il sintomo di un problema molto più profondo. Siamo in presenza di un’idra a sette teste. La crisi più immediata è finanziaria, ma la crisi più profonda è culturale. Ad esse si aggiungono la crisi della povertà, quelle energetica, ambientale, del multilateralismo. Almeno sei o sette crisi s’incrociano. Il lettore dell’enciclica abborda un problema più grave di quello immediatamente apparente. Ma si tratta di una scoperta quanto mai necessaria, dunque di una felice occasione. In secondo luogo, di fronte a un’enciclica sociale, qualcuno attendeva raccomandazioni precise, quasi delle prescrizioni. E invece, per usare una metafora fluviale, si è ritrovato davanti a un’enciclica situata a monte, alla sorgente, cioè Dio che è verità e carità. È estremamente importante invitare i cristiani impegnati a guardare verso la sorgente. Ci sono magnifici passaggi sulla Trinità come riferimento della famiglia umana. Un terzo aspetto inatteso riguarda la focale puntata non tanto sulle strutture umane, ma prima di tutto sull’uomo stesso. Sulle minacce contro l’uomo, molto più che sulle debolezze da correggere nelle strutture umane. C’è in quest’enciclica una tripla inversione rispetto a molte attese e anche per questo si resta felicemente sorpresi. Essa ci riconduce all’essenziale per renderci liberi proprio nel momento in cui siamo chiamati a inventare nuovi progetti.
Fra gli aspetti trattati a misura d’uomo, l’idea di sviluppo funge da filo conduttore nel testo.Lo sviluppo in effetti non è visto solo in chiave economica, ma come sviluppo della persona, della società e dei popoli. I tre livelli avanzano assieme. La dimensione economica non è certo trascurata e in proposito, anzi, ci sono tanti forti passaggi. Ma, riprendendo il linguaggio della Populorum progressio, il punto centrale è di trasformare l’uomo nell’artefice del proprio destino. Il secondo aspetto dello sviluppo che mi pare nuovo e molto interessante riguarda la visione dello sviluppo come vocazione. In origine, non è l’uomo che decide, ma è Dio che invita l’uomo al suo sviluppo e a quello del mondo secondo la leg- ge morale naturale nel cuore di tutti gli uomini.
L’insistenza sull’importanza del dono equivale a un appello per un capitalismo, per così dire, più polifonico? Il dono e la fraternità sono due parole chiave dell’enciclica. Lo sviluppo non ha senso se non in una prospettiva di fraternità. E vi è sviluppo economico sano solo laddove il dono ha un suo posto, persino all’interno delle transazioni di mercato. Da qui, in effetti, può nascere l’idea di un capitalismo più polifonico. Il Papa sottolinea che la dicotomia tradizionale fra settore pubblico e imprese di mercato ha oggi sempre meno senso. Per questo, l’enciclica invoca lo sviluppo, fra i due, di un settore d’impresa ancora legato alla ricerca del profitto ma con un doppio motore, cioè anche capace di far posto alla gratuità. Gli esempi citati vanno dal commercio solidale al settore mutualistico, passando per la microfinanza. Il Papa vuole incoraggiare questo terzo settore e auspica che possa fecondare e migliorare l’economia di mercato anche attraverso forme di ibridazione. Per ritrovare un’armonia economica, inoltre, si dovrebbe lasciar spazio anche alle associazioni di consumatori e alla società civile. Si tratta di una visione molto innovativa, pur restando al contempo nella tradizione di altre encicliche sociali della Chiesa.
A proposito delle emergenze planetarie, si sottolinea anche il ruolo dei beni pubblici come l’acqua. Come interpreta questo passaggio? Mi pare decisivo il fatto che non si parli dell’acqua solo come di un bisogno essenziale e di un bene pubblico da preservare, ma anche come di un diritto. In questo senso, l’enciclica si smarca dalle conclusioni dell’ultima conferenza d’Istanbul, dove non si è giunti a un accordo sul riconoscimento esplicito di un diritto all’acqua. Vi è un chiaro invito del Papa a creare un’autorità pubblica dalla competenza universale per quelle questioni che sovrastano l’attività dei singoli Stati. Ma, al contempo, l’azione attuale degli organismi internazionali non viene affatto incensata. Essa dovrebbe invece essere riconsiderata, soprattutto alla luce del principio di sussidiarietà.
Secondo l’enciclica, gli aiuti internazionali «possono a volte mantenere un popolo in uno stato di dipendenza». Come accoglie questa osservazione? Si tratta soprattutto di un’affermazione che coglie un problema reale e molto attuale. Anche l’Africa progress panel , presieduto da Kofi Annan e di cui ho l’onore di far parte, fa chiaramente allusione a questo problema nel suo ultimo rapporto. Le cose in effetti debbono cambiare, se si vuole davvero approdare a uno sviluppo integralmente umano, cioè sostenuto pienamente dall’apporto delle comunità locali.
Anche l’appello a una maggiore responsabilità sociale dell’impresa sembra sfidare tante logiche correnti. L’etica nella vita dell’impresa viene accostata all’etica della finanza per sottolineare che in entrambi i casi occorre fare attenzione. Non basta introdurre imprese o strumenti finanziari etichettati come etici. Occorre un’etica capace di pervadere tutte le imprese e tutta la finanza. Ed è proprio per questo che non può più essere rimandato il grande cantiere del rinnovo di tutti quegli strumenti, d’impresa o finanziari, che sono stati utilizzati finora in modo perverso.