Il cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e dell’Alto Comitato per la fratellanza umana
L’immagine è indelebile. La pioggia battente dilata la solitudine di piazza San Pietro. Jorge Mario Bergoglio la attraversa con passo lento e inesorabile. Gli occhi del mondo, afflitti e spaesati, quel 27 marzo, lo seguono dagli schermi di tv e computer. Sul sagrato, poco dopo, accanto al Crocifisso di San Marcello, papa Francesco avrebbe esclamato: «Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda».
Parole che, il 14 maggio, i credenti di tutto il mondo, qualunque sia la loro fede, sono invitati a tradurre in un momento di incontro con Dio e con gli altri. A distanza, causa Covid. Ma non per questo meno intenso. «La crisi ci ha messo di fronte alla realtà di essere parte dell’unica famiglia umana e ci sprona a promuovere, laddove viviamo, la fratellanza», spiega il cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e dell’Alto Comitato per la fratellanza umana. È stato quest’ultimo organismo a proporre per giovedì prossimo una Giornata di preghiera, digiuno e opere di carità affinché il mondo sia liberato dal flagello del coronavirus.
Creato lo scorso agosto, a pochi mesi dalla storica riunione di Abu Dhabi, l’Alto Comitato ha assunto la responsabilità di dare “carne e sangue” al Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato dal Pontefice e dalla massima autorità dell’islam sunnita, il grande imam di al– Azhar, Ahmed al–Tayyeb, il 4 febbraio 2019. «Quel testo è una pietra miliare nel cammino del dialogo interreligioso. Non è un’espressione casuale: la pietra miliare segna un punto del cammino che non coincide né con la partenza né con l’arrivo. La Giornata di preghiera, digiuno e opere di carità sarà una nuova pietra miliare in questo percorso».
Il primo ad aderirvi è stato papa Francesco che ha rilanciato l’iniziativa al termine del Regina Coeli di domenica. Alla voce del Pontefice si sono poi aggiunge quella del grande imam al–Tayyeb, del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres – che accompagna con attenzione le attività del Comitato e ha incaricato il suo consigliere speciale, Adama Dieng di seguirne i lavori –, di nu- merosi capi di Stato e di governo, di personalità del mondo religioso e non. «È un segno di speranza per il futuro. Poiché in fondo al cuore condividiamo i medesimi desideri di bene, mi auguro che, una volta finita la pandemia, possiamo ritrovarci e vivere come fratelli e sorelle in umanità, ciascuno a partire dalla propria cultura e tradizione, nel rispetto della diversità». Nessuno è escluso dall’iniziativa. «Ogni persona, sia essa cristiana o appartenente ad altre religioni o non credente potrà in quel giorno rivolgere una preghiera personale, un pensiero spirituale, una riflessione sulla condizione umana perché il mondo superi l’emergenza. Al contempo, si potrà accompagnare questo momento interiore con un’iniziativa concreta volta ad aiutare chi è maggiormente nel bisogno», sottolinea il presidente dell’Alto Comitato.
Non si tratta di cancellare, annacquare, smussare le differenze. Bensì di rispondere alla sfida imposta dalla pandemia: tirare fuori il meglio si sé per metterlo al servizio del bene di tutti. Un imperativo quanto mai urgente per gli appartenenti alle varie fedi, chiamati a partecipare non oltre, bensì all’interno del proprio credo. Non a caso, i tre perni intorno a cui ruoterà la Giornata – orazione, digiuno e elemosina – sono comuni alla gran parte di esse. «Preghiera, dialogo, rispetto e solidarietà sono le uniche armi vincenti in questo momento di grande sofferenza per l’intera umanità. E sono armi che fanno parte degli arsenali spirituali di tutte le religioni», prosegue il cardinale spagnolo e missionario comboniano.
Data la congiuntura sanitaria, giovedì non ci saranno eventi pubblici né momenti comuni. La partecipazione si svolgerà nel privato, tutti, però, saranno uniti nell’implorare la fine della pandemia. «Quando la crisi finirà saremo chiamati a ricreare e popolare spazi di fraternità, solidarietà e pace. Da questa emergenza, dovremo rinascere nuovi, migliori di come siamo stati. E non solo a livello personale». Da qui l’importanza di accompagnare la preghiera – con un pensiero speciale a quanti sono stati strappati ai propri cari dalla violenza del virus, spesso senza nemmeno il conforto della loro presenza o di un’assistenza spirituale – con il digiuno e le opere di carità. «Sono azioni che implicano responsabilità e consapevolezza sul da farsi. E questo è un punto cruciale per il dopo– Covid. In cui il credente coerente e credibile, in quanto testimone e portatore di valori, potrà e dovrà dare un grande contributo all’edificazione di società più giuste e più fraterne».