sabato 18 maggio 2013
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"Quelli dei movimenti? Non sono i miliziani del Papa che vogliono difendere la Chiesa dagli attacchi della modernità. È gente che cerca la vita in abbondanza, che vive il cristianesimo come un grande ’sì’, non come un formulario da rispettare. E vuole sentirsi protagonista, non particella anonima di un gruppo». Il professor Salvatore Abbruzzese, che insegna sociologia dei processi culturali e delle religioni all’università di Trento, è studioso attento di questo fenomeno antico e nuovo per la Chiesa. E ne ha indagato anche i risvolti civili.La fioritura che i movimenti stanno conoscendo testimonia una primavera della Chiesa, proprio in un’epoca in cui essa mostra crepe e cedimenti. Da dove scaturisce questa energia? Di quali ingredienti è fatta? È una vitalità che viene dalla capacità di offrire risposte convincenti al desiderio di avere un’identità in una società sgretolata, al bisogno di essere chiamati per nome in un’epoca in cui prevalgono l’anonimato, l’omologazione, l’alienazione. Nelle aziende vige il motto «tutti sono importanti, nessuno è indispensabile». Un motto che vale sempre più spesso anche nella società. Nei movimenti invece viene esaltata l’individualità, la persona è accolta e riconosciuta nella sua specificità e irripetibilità. Vali per quello che sei e comunque tu sei, non perché ricopri un ruolo o sei funzionale a uno scopo. C’è chi legge i movimenti come una risposta alla crisi della fede di fronte alla modernità, la dimostrazione che è possibile vivere la modernità da credenti senza subirne i limiti. E chi invece li rappresenta come un modo con cui la Chiesa cerca di rinserrare le file, un’esperienza ultimamente difensiva e autoreferenziale. Lei come la vede?Al contrario di molti colleghi sociologi – e non solo loro, penso ad esempio a un atteggiamento molto diffuso nei media – i movimenti sono azione, non reazione. Cercano e offrono il cristianesimo come qualcosa di propositivo. Per dirla con Benedetto XVI, «un grande sì», e non una serie di regole a cui ci si deve uniformare. In questo senso si collocano totalmente nel solco tracciato da papa Francesco in queste prime settimane di pontificato: incontrare Gesù è motivo di gioia, una gioia che dà corrispondenza al desiderio di felicità presente nel cuore di ogni uomo. Per questo aggregano, anche nelle periferie geografiche ed esistenziali dove la Chiesa istituzionale spesso non riesce ad arrivare o a incidere.Qualcuno rimprovera una certa autoreferenzialità, la tendenza a crogiolarsi nel gruppo perché «è bello stare tra noi», o a diventare tutti uguali, coltivando una sorta di affinità elettiva.È un rischio che si corre quando si è incontrato qualcosa che riempie la vita e regala una soddisfazione totale. Occorre tuttavia distinguere tra la rappresentazione coreografica e la dinamica effettiva. Nessun movimento coincide con la sola manifestazione coreografica di sé. Per partecipare occorre un’adesione interiore che matura dall’esperienza di un avvenuto riconoscimento della propria persona. Dobbiamo riconoscere che la loro grande capacità di aggregazione testimonia una dinamica che va molto al di là della coltivazione del proprio orticello. Un’appartenenza a proprio uso e consumo è destinata a durare poco, mi pare che prevalga la tensione a offrire il tesoro che si è scoperto. In questo senso, i movimenti sono una grande risorsa per la nuova evangelizzazione evocata dagli ultimi tre pontefici. Quanto alla tentazione di quella che lei chiama affinità elettiva, studiando da vicino i movimenti ho incontrato tipi umani assolutamente diversi tra loro più che «cloni cattolici» o soldati della fede resi uguali dal fatto di indossare la medesima uniforme. L’affinità elettiva non regge all’urto con la realtà se non è alimentata da un’adesione libera e responsabile e da una pratica religiosa personale e intensa. Per capire cosa regge l’esperienza di un movimento non ci si può limitare a cogliere i momenti di festa, i balletti, le braccia alzate al cielo, ma considerare l’energia che proviene dalla pratica della preghiera, dalla frequenza ai sacramenti, dallo studio e la meditazione delle Scritture, dal confronto tra la fede e le sfide poste dalla realtà.I movimenti nascono e si alimentano da un carisma, che spesso è incarnato da una persona. Non c’è il rischio che questo degeneri fino a trasformare questa persona nel vero riferimento?Troppo spesso il cristianesimo viene ridotto a dottrina, dimenticando che si è diffuso grazie alla testimonianza di persone. Alcune hanno ricevuto un dono particolare, il carisma appunto, che le rende affascinanti, capaci di calamitare interesse fino a diventare una sorta di centro affettivo. Certo, la storia delle congregazioni e degli ordini religiosi è percorsa da incomprensioni e dissidi con la Chiesa. Basti pensare alla vicenda del poverello di Assisi. Ma non dimentichiamo che nella regola diffusa si diceva che i frati obbediscono a Francesco, e Francesco obbedisce al Papa. L’autenticità di un movimento si misura dal fatto che il fondatore o chi lo guida non si propone come riferimento ultimo, ma indica Qualcosa di più grande a cui guardare. In questo senso è esemplare la vicenda di alcuni grandi fondatori che hanno vissuto tensioni con l’autorità ecclesiastica (penso a Chiara Lubich, a Giussani, ad Arguello), nelle quali però è sempre prevalso il riferimento ultimo a Pietro e che hanno generato un senso di appartenenza profonda alla Chiesa. Nel primo incontro con i movimenti, nel 1998, Giovanni Paolo II ha ricordato che carisma e istituzione sono "coessenziali", e Benedetto XVI lo ha sottolineato più volte. Il fondatore non vuole introdurre sostanziali novità, piuttosto testimonia e indica un modello di vita che rende l’appartenenza religiosa più «calzante» rispetto alla vita quotidiana.Qual è la valenza civile dei movimenti? Quale messaggio inviano al mondo laico?La loro valenza civile emerge nelle opere che producono, nella capacità di aggregazione trasversale – tutt’altra cosa rispetto ai partiti che aggregano in base a ideologie o progetti politici –, nell’humus che contribuiscono a formare, nelle reti di relazione che creano. Ma più ancora delle opere e delle reti di relazione, i movimenti contribuiscono a strutturare in modo radicalmente diverso la percezione dell’altro. L’altro mi è necessario, ogni vera identità si realizza in una relazione. La differenza con i movimenti politici non potrebbe essere più radicale: in politica chi non appartiene al proprio partito – nella maggior parte dei casi – è qualcuno che, avendo compiuto una scelta diversa, è inevitabilmente avversario. Un tale atteggiamento nei movimenti religiosi è inaccettabile, in quanto chi non aderisce persegue un cammino diverso che solo Dio conosce, lasciare la porta aperta non è cortesia, ma un dovere. Sono convinto che la ricchezza di movimenti religiosi di cui l’Italia può beneficiare – con i loro momenti di preghiera, le loro opere e la loro rete – sia uno degli elementi che spiegano perché il nostro tessuto sociale "tiene" più che altrove, anche in tempi di crisi economica e di frammentazione politica.
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