Giuliana se lo ricorda. Soffiava un vento freddo dal mare e non ci si poteva neppure rifugiare nei bugigattoli dei venditori di kebab perché non c’erano. Nel 1992, Archi e Stazione, i quartieri che circondano il porto di Ancona, non erano la città dei chador e delle kefiah. I bosniaci in fuga bivaccavano di fronte al mare e speravano che «gli angeli che annunciano la pace», invocati da don Tonino Bello arrivassero davvero. «La traversata dell’Adriatico è stata un incubo – ha raccontato l’eporediese Giuliana Bonino venerdì sera, incamminandosi con duemila tra cristiani e musulmani, ebrei e ortodossi nelle vie di Ancona – ma la marcia della pace che ci ha portati in 500 a Sarajevo ha dimostrato che esiste un’alternativa alla logica della guerra».Tonino Bello, il vescovo di Molfetta che aveva voluto quella spedizione nella città martoriata dalla guerra jugoslava nel 1992 era già molto malato e sarebbe morto pochi mesi dopo: l’arcivescovo di Ancona-Osimo, Edoardo Menichelli, ne ha riproposto l’esempio ai partecipanti della 43ª Marcia per la pace dedicata al tema «Libertà religiosa via per la pace», promossa dalla Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace della Cei, Pax Christi e Caritas italiana, che si è svolta la sera di San Silvestro nel centro del capoluogo marchigiano. «Il nostro patrono, Ciriaco, era di origine e religione ebraica – ha ricordato il presule nell’omelia – e da questo porto san Francesco salpò per l’Oriente, riferimenti che si fanno cattedra e giudizio per le attuali contingenze storiche, segnate da fatti che sono offesa a Dio e alla dignità umana».La libertà religiosa, ha precisato, «proprio perché ha radici indiscutibili nella coscienza, è base e ragione di ogni altra libertà individuale» ma, benché «difendere, salvare, rispettare la libertà religiosa sia garanzia di vera civiltà» e «tutto questo sia compito dell’autentica laicità degli Stati», per Menichelli «prima di essere garantiti nella libertà sociale e pubblica dell’esercizio di fede occorre che la fede si faccia in noi ineffabile salvezza interiore: dobbiamo consacrarci alla verità e alla carità di Dio», ricordando che «Dio non è prigioniero di nessuno e nessuno può pensare di governarlo».Poco prima, lungo il percorso, il corteo si era soffermato per qualche istante dinnanzi all’Eucaristia, esposta sul sagrato di Santa Maria della Piazza e divenuta un riferimento costante di quest’edizione della marcia, proiettata verso il Congresso eucaristico nazionale, che si terrà nel prossimo mese di settembre proprio ad Ancona. Le offerte raccolte durante la Messa sono state destinate alle opere segno del Congresso. La marcia è partita nel tardo pomeriggio dall’oratorio dei Salesiani, aperta dalla preghiera ecumenica guidata dal presidente di Pax Christi Giovanni Giudici (con i rappresentanti delle confessioni evangelica apostolica, evangelica avventista, evangelica valdese e metodista e ortodossa rumena) e accompagnata dai vescovi di Fabriano-Matelica, Giancarlo Vecerrica, di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, Claudio Giuliodori, di Senigallia, Giuseppe Orlandoni, di Jesi, Gerardo Rocconi, di Piazza Armerina, Michele Pennisi, con i vescovi emeriti di Ivrea Luigi Bettazzi, e di Saluzzo, Diego Bona.Numerose anche le testimonianze che durante il cammino hanno offerto uno spaccato di questo arcipelago di operatori di pace impegnati su tanti fronti, dalla lotta contro l’industria delle armi a quella contro le molte forme del disagio sociale. Lucilla Dubbini, dell’associazione
Senza Confini, ha presentato ad esempio le esperienze in corso ad Ancona ricordando che «qui gli immigrati costituiscono circa il 15% dei residenti nei quartieri che stiamo attraversando, in città sono 9 mila su 100 mila. La congiuntura rischia di far scivolare questa parte di Ancona nel più profondo degrado». Problemi, sovente, più percepiti che reali ma non per questo meno dirompenti: «Gli abitanti di questi quartieri – ha aggiunto – vivono costantemente in una dimensione di insicurezza che è infondata, eppure la scuola Leonardo Da Vinci rischia la chiusura perché i genitori italiani iscrivono i propri figli in scuole lontane».