Il pianto di una donna a Mariupol dopo un attacco russo - Reuters
Più volte il tono si fa concitato, quasi a voler raccontare anche con la voce il dramma della guerra nel suo Paese. «Stiamo pagando un prezzo altissimo per la nostra resistenza all’invasore», spiega l’ambasciatore dell’Ucraina presso la Santa Sede, Andriy Yurash. Una pausa. «Siamo di fronte a un incredibile sacrificio». Nella sede diplomatica non distante dalle mura leonine, dietro la Città del Vaticano e a due passi da Villa Doria Pamphilj a Roma, è arrivato da due settimane. Ex direttore del Dipartimento per gli affari religiosi del ministero della Cultura, è un esperto di relazioni fra Stato e Chiesa. Il presidente Volodymyr Zelensky lo ha inviato Oltretevere firmando lo scorso 14 dicembre la sua nomina ad ambasciatore. E la nunziatura apostolica in Ucraina gli ha subito rivolto i più «cordiali auguri».
Il nuovo ambasciatore dell’Ucraina presso la Santa Sede, Andriy Yurash - Archivio
«Siamo commossi per il costante sostegno che il Paese sta ricevendo dalla Sede Apostolica» afferma Yurash. Mercoledì ha partecipato alla Messa per la pace presieduta nella Basilica di San Pietro dal segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, alla presenza del corpo diplomatico. E di Parolin l’ambasciatore parla per elogiare l’impegno della diplomazia vaticana: «Anche negli ultimi giorni il cardinale ha ribadito l’urgenza di aprire i negoziati facendo sedere le parti intorno allo stesso tavolo. Ma sfortunatamente non c’è una risposta positiva da parte della Russia». Poi ringrazia papa Francesco che «in questa terribile situazione è una delle figure di riferimento più care alla nostra nazione, anche ai non cattolici, e ogni suo gesto è considerato d’aiuto alla popolazione che lotta per l’indipendenza e per la difesa della sua identità europea». In più occasioni il diplomatico lo ripete nella conversazione con Avvenire: «Grazie Santo Padre. Grazie alla Santa Sede per ogni azione, anche futura, di supporto». E a Francesco rivolge un appello che a tratti diventa commosso: «So che i tempi sono difficili ma, se il Papa poggiasse i piedi sulla terra ucraina, sarebbe ciò che il Paese desidera maggiormente. Nei giorni scorsi i premier di Slovenia, Polonia e Repubblica Ceca hanno visitato Kiev e hanno mostrato che ciò è possibile. La società ucraina ritiene che, se il Papa venisse in Ucraina, la guerra si fermerebbe. È un sentimento collettivo e sincero. Voglia il Signore che questo sogno possa realizzarsi...».
Signor ambasciatore, l’Ucraina si considera sotto assedio?
Direi che il quadro è variegato. Alcune città sono circondate dai militari russi, ma mi preme sottolineare che il Paese gode di uno straordinario appoggio internazionale, a cominciare dall’Unione Europea che è ben consapevole di quale ruolo abbia l’Ucraina nel prossimo assetto geopolitico del continente. Certo, in alcune zone la situazione è terribile, come a Mariupol che però si sta difendendo con onore: si stimano almeno 2.300 civili uccisi. È chiaro a tutto il mondo come sia in corso un attacco terroristico all’Ucraina.
La Chiesa cattolica è accanto alla popolazione.
Lo percepiamo davvero. Anche se la comunità cattolica non è molto numerosa, la Chiesa ha una notevole visibilità e può contare sulla simpatia del Paese che, ad esempio, si riconosce nelle forti prese di posizione del Papa.
La Santa Sede si è proposta di essere mediatore nel conflitto.
Ringrazio il cardinale Parolin per l’iniziativa. L’idea vaticana di favorire i negoziati fra Russia e Ucraina era già emersa due anni fa e aveva trovato il sostegno del presidente ucraino. Adesso dico che occorre compiere ogni sforzo per convincere la Russia ad avviare le trattative.
L'attacco russo a un quartiere residenziale di Kiev - Ansa
Il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, non ha preso le distanze dall’attacco. Anzi, lo giustifica...
Ho letto le parole di Kirill e in esse ho percepito la lontananza dal Vangelo. Appoggia ciò che sta accadendo e non fa nulla per fermare la guerra. Mi ha toccato un video della scorsa domenica nel quale il patriarca Kirill mostrava un’icona alla Guardia nazionale russa e la benediceva invitando i soldati a portarla con sé per vincere le battaglie. Ciò significa che Kirill è completamente genuflesso a Putin e anche su di lui grava la responsabilità del conflitto. Aggiungo che con i suoi comportamenti il patriarca russo sta incrinando i rapporti con gli ortodossi legati a Mosca che si trovano in Ucraina. Noi invece patrociniamo ogni passo della Santa Sede e facciamo nostre le parole del Papa secondo cui il cristiano è sempre un uomo di pace.
Il Papa consacrerà l’Ucraina e la Russia al Cuore Immacolato di Maria. Le due nazioni saranno più vicine?
La decisione è stata accolta molto bene in Ucraina. Ma il fattore politico mostra che un riavvicinamento non può esserci se un esercito straniero invade uno Stato, devasta le città, uccide le persone. La Russia ripete che ci vede come fratelli e amici, ma non ha mai accettato la nostra indipendenza. E il basso consenso di cui la Russia godeva da noi, circa il 13%, si è ridotto dopo l’attacco quasi allo zero persino nelle regioni al confine orientale dove le percentuali erano più alte. E sono la aree che adesso Putin sta bombardando. Perché il suo intento è di restaurare un impero d’impronta zarista. Ma non ha fatto i conti con la storia...
Nella Chiesa, ma anche nella società italiana, si discute se sia opportuno inviare armi all’Ucraina.
Abbiamo bisogno di difendere legittimamente il nostro territorio con l’ausilio delle armi. Credo che si possa porre fine a questa guerra intersecando due strade: prima di tutto, sostenendo l’esercito ucraino contro l’aggressore russo; e poi sorreggendo il Paese anche dal punto di vista psicologico e spirituale, come fanno il Papa e la Chiesa cattolica.
E l’Europa?
Può essere al nostro fianco sia con gli aiuti umanitari, sia con l’invio di armi. Ma il continente potrebbe incoraggiare davvero l’Ucraina se la accogliesse nella grande famiglia dell’Unione Europea dicendole: «Sei la benvenuta; fai parte di questa casa». Sarebbe forse il segno più importante: non solo politico ma anche culturale.
A Kiev i profughi accampati in una stazione della metropolitana - Ansa
Dall’Ucraina si fugge. Come favorire l’accoglienza dei profughi?
Tre milioni di persone hanno già lasciato il Paese: ed è un numero enorme. Ma la stragrande maggioranza vuole tornare nella propria terra non appena sarà possibile. La questione dei rifugiati ucraini interroga tutti i Paesi europei che per aiutarli sono chiamati prima di tutto a pretendere un “cessate il fuoco” e poi a favorire la ricostruzione. Ho appena incontrato l’ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Francesco Di Nitto, il quale mi ha riferito che sono già 47mila gli ucraini giunti nella Penisola. Tuttavia solo una piccola parte sarebbe interessata ad ottenere lo speciale status di rifugiato. Comunque potrebbero esserci profughi anche da Russia e Bielorussia dove il 30% è contrario alla guerra. Quale vita sicura avranno all’interno di un regime com’è quello che Putin ha instaurato a Mosca?
(Ha collaborato Stefania Pizzi)