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Non «proclami» o «condanne», ma l’invito al «dissenso civile» verso chi si serve in modo banalizzante e «trash» di «luoghi, segni e parole care alla tradizione cattolica» per decorare e caratterizzare un bar e per pubblicizzarne l’attività. Un dissenso che «si attua attraverso il non pubblicizzare e non frequentare questi luoghi che, di un linguaggio volgare e inopportuno, fanno la propria vetrina». Così si legge in un comunicato dei sacerdoti di Marigliano – Città metropolitana di Napoli, diocesi di Nola – dedicato all’apertura di un locale all’interno di una ex cappella privata da molto tempo non più destinata ad uso religioso e che, intanto, aveva anche ospitato uno studio di architettura.
Nell’ex cappella – che ancora custodisce un dipinto del santo al quale era dedicata, Sant’Antonio Abate – è stato infine ricavato un bar: ma con statue nelle nicchie, scritte e arredi che ricostruiscono in modo parodistico e dissacrante spazi, messaggi, simboli di un luogo di culto cattolico. Il locale, «identificato nel profilo Facebook come “chiesa del peccato”, suscita non poche perplessità per la modalità della comunicazione e dei contenuti che la accompagnano», esordisce il comunicato dei sacerdoti. Perplessità condivise da molti, e che hanno portato la Polizia locale a denunciare per vilipendio alla religione il rappresentante legale del bar.
«Certamente si fa leva sull’intercettare la curiosità dei possibili fruitori di fronte ad una proposta, che forse ha l’intenzione di provocare una rottura con un ambiente e una cultura che si ritengono superati», riflettono i sacerdoti di Marigliano. «È proprio però partendo da questo principio che si compiono diversi “scivoloni” di stile. Intanto non si costruisce il nuovo assumendo luoghi, segni e parole e facendone un uso definibile, quanto meno, di basso profilo: il nuovo può essere sicuramente attuato, ma nel rispetto di quanto ci ha preceduto e lasciando che ogni situazione e cultura sia rispettata». «Così – riprende la nota – l’aver usato la definizione di “chiesa del peccato” e aver banalizzato espressioni – “prendete e bevetene tutti” – che per un gran numero di persone rivestono ben altra portata, o ancora “abbiate fede”, in un contesto ilare e, probabilmente nelle intenzioni degli scriventi, ironico è veramente una grande mancanza di misura».
Ebbene, «la scelta di immagini care alla tradizione di molti, raffiguranti il simulacro di Gesù o della Vergine Maria, ricollocati in un contesto così particolare e invitante al consumo, veramente è un utilizzo fuori luogo. Il clamore non va sempre di pari passo col buon gusto e lo spettacolare talvolta scade nel trash, questa operazione ha portato questa logica alla sua massima espressione». Come pastori che «su questo territorio pongono il proprio servizio non possiamo tacere quando ci sono manifestazioni di questa portata: lo dobbiamo alla cultura che viviamo, alla memoria della fede di chi ci ha preceduto e alla consegna alle nuove generazioni del senso della misura, del bello e dell’opportuno che sempre devono rappresentare i punti di riferimento in una società civile». In conclusione «le forme per dirsi contrari al dilagare di queste espressioni potrebbero passare attraverso proclami o condanne», che però rischiano di «lasciare il tempo che trovano», se non di fomentare «curiosità e chiacchiericcio» a tutto vantaggio del locale. C’è «un’altra possibilità», suggeriscono i sacerdoti: il «dissenso civile» che «si attua attraverso il non pubblicizzare e non frequentare questi luoghi che, di un linguaggio volgare e inopportuno, fanno la propria vetrina».