La mina politica viene fuori in giornata. Ma il premier Matteo Renzi, 'arbitro' nella contesa fra una parte del Pd e Ncd, decide di congelarla, prendendo tempo per provare a disinnescarla e salvaguardare così la tenuta della maggioranza, già agitata dal complesso dibattito sulle unioni civili. Il nuovo nodo, rappresentato plasticamente dal braccio di ferro fra il ministro della Giustizia Andrea Orlando e il titolare dell’Interno Angelino Alfano, è l’abrogazione del reato d’immigrazione clandestina (introdotto nel 2009 dall’allora governo Berlusconi), contenuta in un decreto legislativo di attuazione della legge delega sulla depenalizzazione. Il testo era approdato in Cdm il 13 novembre, ma era stato stoppato una prima volta da Alfano e dunque inviato da Orlando alle Camere, dalle quali è tornato con parere positivo in via Arenula. Ora il Guardasigilli era pronto a presentarlo all’esame del primo Cdm utile, quello del 15 gennaio, forte delle valutazioni dell’Associazione nazionale magistrati e di toghe di vaglia come il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti (convinto che il reato abbia ingolfato l’azione penale avvantaggiando i trafficanti, visto che consente ai migranti, se sentiti come imputati, di avvalersi della facoltà di non rispondere) o Renato Di Natale, capo della procura di Agrigento che, sommersa dagli sbarchi e «intasata da migliaia di fascicoli», nel 2014 era già pronta ad archiviare i fascicoli di 16mila immigrati indagati e nel 2015 ha dovuto iscriverne «per obbligo di legge», altri 26mila, sbarcati fra Lampedusa e Porto Empedocle, con aggravi di procedure e spese giudiziarie. Quelle indicazioni avevano portato alla stesura della norma per abrogare il reato (ora contenuto nell’articolo 10 bis, aggiunto nel 2009 alla legge 286 del 1998, che senza fermo o arresto dispone per l’immigrato un’ammenda da 5 a 10mila euro), lasciando in vigore l’espulsione in via amministrativa per gli irregolari. Ma la notizia dell’esame del decreto in Cdm ha riacceso i malumori del Nuovo centrodestra, col ministro Angelino Alfano che, pur «consapevole» delle «voci autorevoli» e delle «ragioni tecnicamente valide a sostegno di una abrogazione », oppone «motivi di opportunità fin troppo evidenti» sostenendo che «è meglio non attuare la delega ed evitare di trasmettere all’opinione pubblica messaggi negativi per la percezione di sicurezza in un momento particolarissimo per l’Italia e l’Europa». Niente di ideologico, conclude, «ma una semplice valutazione di opportunità politica». Con Orlando stanno invece diversi parlamentari del Pd (fra gli altri Roberto Speranza, della minoranza Dem, e il renziano Edo Patriarca, che parla di una «norma antistorica») che insistono per la depenalizzazione. Ma a incalzare il governo, coi soliti toni da campagna elettorale, è anche il centrodestra d’opposizione, con la Lega Nord e il suo segretario Matteo Salvini che attaccano («Siete tutti pazzi ») e si dicono pronti a lanciare un referendum. Alla fine, forse temendo di offrire argomenti agli avversari in un momento in cui l’Europa s’indigna per le violenze commesse da immigrati a Colonia, Palazzo Chigi sposa la linea alfaniana: da ambienti vicini a Matteo Renzi si fa sapere che il governo deciderà la settimana prossima se procedere o meno sulla depenalizzazione, sulla base di una «valutazione di opportunità politica», ma senza «toni barricaderi », tenendo conto che «nella componente sicurezza l’elemento psicologico e di percezione é molto importante ». Una frenata che il ministro Orlando incassa a malincuore: «Faremo come per altri temi che dividono la maggioranza – confida ai suoi collaboratori –, tenendo conto delle diverse posizioni presenti, dei pareri del Parlamento e del dibattito esterno».