Se domani mattina venisse abolito per decreto il reato di clandestinità, non ci troveremmo un numero più alto di delinquenti per strada a insidiare le donne e a terrorizzare i giovani. Non verremmo invasi. Le cose cambierebbero invece in meglio per tre ragioni: avremmo un positivo abbassamento del tasso di ideologia e della strumentalizzazione xenofoba che inquina ogni discussione sulla questione migratoria; calerebbero le cause che contribuiscono a intasare i tribunali in un Paese dove i processi slittano di anni; risparmieremmo soldi pubblici. Il governo è in ritardo. L’abolizione è stata votata dal Parlamento nell’aprile del 2014 con una legge delega, che ha assegnato al governo il compito di provvedere ad eliminare quel reato. Un anno dopo l’esecutivo ha chiesto nuovamente a Camera e Senato di esprimersi, ottenendo la stessa risposta. E ancora tentenna. Certo, i tempi possono giustificare la paura, e non vogliamo neppure pensare a maneggi sottobanco e a contropartite in maggioranza per glissare su temi così importanti. Ma la paura o altri calcoli politici non devono far perdere lucidità e saggezza.Va detto chiaramente che l’espulsione per chi entra o soggiorna irregolarmente in Italia rimarrà, stabilita dalla legge Martelli del 1990 e ribadita 20 anni dopo dalla direttiva rimpatri della Ue del 2010. Cosa cambierà, allora? Si cancellerà un reato odioso e inutile che obbligava le procure a iscrivere sul registro degli indagati tutti gli immigrati presi senza permesso e a processarli magari per anni. Con quale esito? Una multa di svariate migliaia di euro nei fatti inesigibile, perché in questo caso i dichiarati "clandestini" non avevano certo patrimoni, proprietà immobiliari o conti in banca sui quali rivalersi. Lo Stato ha sempre sostituito l’ammenda con un’espulsione, ovvero - spesso - un foglio di via che lasciava libero il dichiarato "clandestino" di girare per l’Italia. In questo modo, tortuoso e costoso – all’italiana nella peggiore accezione – si è raggiunto solo l’obiettivo politico di criminalizzare gli immigrati irregolari senza impedirne l’arrivo. E si è allontanata l’opinione pubblica dalla comprensione dei drammi migratori, a vantaggio di chi dalla paura trae consenso. Che oggi non a caso sbraita, insulta e vuole salire sulle barricate proponendo referendum a difesa del reato istituito nel 1998 – un’era geopolitica fa – dalla Bossi-Fini e perfezionato dal Pacchetto sicurezza del 2008, prima della crisi siriana.Va rilevato che l’abolizione non è stata chiesta solo dalle organizzazioni umanitarie dagli attivisti, ma soprattutto da giuristi e magistrati. Basta leggere le argomentazioni con cui Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, è tornato nell’intervista rilasciata ieri al quotidiano "Repubblica" sugli ostacoli creati dal reato di clandestinità nella lotta ai trafficanti di esseri umani. Nodi che aveva già indicato in una intervista al nostro giornale. Un conto, in sintesi, è interrogare una persona – magari appena salvata da un barcone – indagata per tale reato sulla rete del traffico quando è assistito da un avvocato e può avvalersi della facoltà di non rispondere, un conto è parlare con una persona informata dei fatti. Le dichiarazioni dell’Anm, di tanti avvocati, del procuratore generale di Roma Giovanni Salvi, sono tutte dello stesso tenore.Quindi, prima di affrontare il tema dell’abolizione del reato di clandestinità domandiamoci che cosa è prioritario. Per noi è anzitutto strategico intensificare la lotta al traffico di esseri umani. Perché ha causato decine di migliaia di morti innocenti e sofferenze indicibili in mare e sulle rotte africane e balcaniche e nel Sinai. E perché potrebbe essere uno dei canali di finanziamento del terrorismo. Resta invece da capire perché dovremmo difendere il reato di clandestinità, un muro di carta che non ha avuto alcun effetto deterrente su uomini, donne e bambini che ogni giorno mettono a rischio la propria vita attraversando i deserti e il mare subendo torture, abusi e angherie per salvarsi e costruire un futuro.