La chiesa di Valle di Cadore, poggiata a strapiombo su uno sperone di roccia
La missione per tutti è una sola: salvare l’antica chiesa di San Martino vescovo a Valle di Cadore, importante monumento e simbolo paesistico di tutta la valle.
Ormai da decenni infatti la parrocchiale, poggiata a strapiombo su uno sperone di roccia friabile, è minacciata da frane su quasi tutti i lati e vent’anni fa si è cercato di evitarne il crollo sostenendola con micropali lungo il perimetro; poi però nell’autunno 2018 la tempesta Vaia ha eroso un intero versante e le precipitazioni nevose del dicembre scorso hanno fatto il resto, tanto che la sindaca Marianna Hoffer il mese scorso è stata costretta, suo malgrado, ad interdire al culto la storica pieve.
Ora, per metterla in sicurezza, secondo la valutazione del geologo Mario Cabriel (che da anni si occupa della frana) servono da uno a due milioni di euro. La chiesetta – che nella forma attuale risale agli anni 1718-19, ma la cui prima menzione è del 1208 – è un vero scrigno d’arte, con statue lignee e dipinti di valore. Le istituzioni per prime si stanno dunque mobilitando: nei giorni scorsi si è svolto un vertice tra Comune, Regione e Genio civile ed è stata affidata a due professionisti una perizia preliminare; anche il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini è stato coinvolto.
Dalle istituzioni alla diocesi, il territorio si mobilita.
Il vescovo di Belluno-Feltre, monsignor Renato Marangoni, ha indirizzato una lettera alla comunità parrocchiale di Valle: «Ho incontrata la gente di quella comunità e l’ho vista parecchio sofferente, perché il legame con la propria chiesa fa parte della nostra stessa identità. Per questo stiamo collaborando con gli enti interessati, anche nel caso in cui occorra mettere in sicurezza il ricco patrimonio di quadri, arredi e paramenti». Da parte sua il geologo Cabriel ha certificato «continui ed ingenti fenomeni di crollo in calcari e dolomie intensamente fratturati, documentati già da fine Ottocento».
Di certo presto sarà impossibile persino rientrare nella pieve, per ragioni di sicurezza. «Verificheremo i risultati della perizia e dei sondaggi – afferma l’assessore regionale alla Protezione civile, Gianpaolo Bottacin – e decideremo che cosa effettivamente si potrà fare, considerando che l’intervento di vent’anni fa avrebbe dovuto garantire la sicurezza per mezzo secolo. Fra le due ipotesi estreme, da una parte l’assenza di rischi e dal-l’altra il pericolo di crollo, esiste comunque un ampio ventaglio di opzioni: drenaggi, impermeabilizzazioni, pali, solo per citarne alcune».