ANSA
«Ebbi la sensazione che nessuno controllasse nulla». Già otto anni prima del crollo del ponte Morandi di Genova, i vertici di Autostrade erano perfettamente consapevoli che il viadotto sul Polcevera «aveva un difetto originario di progettazione e che era a rischio crollo». Eppure, nessuno intervenne, nessuno ordinò verifiche e manutenzioni straordinarie. Tutto andò avanti come sempre. Fino alla tragedia del 14 agosto 2018, con i suoi 43 morti, gli oltre 600 sfollati, le decine di imprese in ginocchio e una città che da quel giorno è cambiata per sempre. Le ultime rivelazioni sulla catena di sottovalutazione e pressapochismo che ha provocato uno tra i più gravi disastri della storia italiana, portano la firma di Gianni Mion ex Ad della holding dei Benetton Edizione, ex consigliere di amministrazione di Aspi e della sua ex controllante, Atlantia.
L’anziano dirigente è stato sentito al processo per il crollo del Morandi in corso a Genova e ha riferito di fatti e situazioni accaduti durante una riunione del 2010, ovvero otto anni prima del crollo. Che tutti fossero a conoscenza delle precarie condizioni del viadotto autostradale, ma nessuno fece nulla, era già emerso con chiarezza nella perizia di 500 pagine depositata a dicembre 2020 dai periti nominati dal gip: il ponte è crollato perché, scrivono gli esperti, «controlli e manutenzioni» non sono stati «eseguiti correttamente » nel corso degli anni. Dal 1993, data dell’ultimo intervento di manutenzione, prosegue il documento consegnato in Tribunale, « non sono stati eseguiti interventi che potessero arrestare il processo di degrado in atto e/o di riparazione dei difetti presenti nelle estremità dei tiranti che, sulla sommità del tirante Sud-lato Genova della pila 9 (quella poi collassata ndr.) erano particolarmente gravi». Insomma, il quadro era grave e chiaro già molto tempo prima della tragedia. Ma nessuno mosse un dito. E questo è «il mio più grande rammarico», ha aggiunto Mion durante la deposizione di ieri davanti ai magistrati. Di più: «Chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e Riccardo Mollo (il direttore generale di Aspi, ndr.) mi rispose “ce la autocertifichiamo”. Non dissi nulla e mi preoccupai. Era semplice: o si chiudeva o te lo certificava un esterno».
Nel suo intervento, Mion ha ricostruito anche i rapporti tra Aspi e Spea, la società che avrebbe dovuto certificare lo stato di sicurezza del ponte. « Fu fatto un errore da parte di Aspi quando acquistò Spea – ha ribadito il manager –. La società doveva stare in ambito Anas o del ministero, doveva rimanere pubblica. Il controllore non poteva essere del controllato. Avevo la sensazione che nessuno controllasse nulla – ha ripetuto Mion –. La mia idea è che c’era un collasso del sistema di controllo interno e esterno, del ministero non c’era traccia. La mia opinione, leggendo ciò che emergeva, è che nessuno controllasse nulla. Nemmeno Castellucci».
«Ma come ha fatto a stare zitto?», chiede, inorridita, Egle Possetti, presidente del Comitato delle famiglie delle vittime. «Se fossi stata al suo posto e avessi saputo lo stato delle infrastrutture non sarei stata zitta e avrei fatto il diavolo a quattro e avrei anche fatto in modo che il problema emergesse. Speriamo che qualcuno paghi». Del degrado della catena di controllo ha parlato anche l’attuale amministratore delegato di Autostrade, Roberto Tomasi, sentito come teste. « Nel 2020 abbiamo visto un incremento dei coefficenti di rischio anche di oltre il 200% rispetto a quelli rilevati da Spea mentre nel 2019 era del 50%». ha dichiarato Tomasi. Aggiungendo: « Il livello di degrado della rete era sostanzialmente peggiore di quanto era emerso da ispezioni di Spea. Nel 2019 si era partiti con la verifica di 33 opere con due società esterne poi si è passati a 66. Ma vedendo la non omogeneità dei punteggi abbiamo esteso i controlli a tutta la rete».