Lo sbarco in Calabria (Ansa)
L’immagine più drammatica? Un ragazzo «torturato in modo barbaro in Libia». E quella più bella? «I canti insieme alle donne e ai bambini». Sono quelle che si porta a casa Bruna Mangiola, scout del Masci e responsabile del Coordinamento ecclesiale sbarchi della diocesi di Reggio Calabria, impegnata nell’accoglienza dei 232 migranti portati a terra dalla nave dell’ong Sea Watch. Lei di sbarchi ne ha visti tanti assieme ai volontari delle organizzazioni ecclesiali che coordina da più di tre anni. «Questa volta – ci dice – malgrado la lunga traversata le condizioni generali erano discrete. Ci aspettavamo di peggio. Patologie importanti no. Pochi casi di scabbia, un ragazzo con coliche renali».
Però, come accade sempre più spesso, emergono i casi di tortura. E questa volta davvero pesante. «Un ragazzo di poco più di venti anni torturato in modo barbaro in Libia. Gli hanno piantato dei chiodi nelle gambe e poi li hanno tirati spezzandogli le ossa. E poi hanno continuato a battere col martello sulle gambe. Aveva le ferite infettate, purulente. Non riusciva più a camminare. Aveva la gamba al contrario. È stato mandato subito in ospedale per fare ulteriori accertamenti».
Non l’unico. «C’era un altro ragazzo che aveva un piede storto, anche lui a causa di torture. Ma riusciva a camminare perché la frattura si era ormai saldata». Però ormai invalido. E sulla nave c’era anche un ragazzino disabile. «Meno di 15 anni, sordomuto, minore non accompagnato, dolcissimo, con uno sguardo bellissimo, un sorriso che non ti dico. Era contentissimo di essere arrivato. Lo aiutava un altro ragazzo poco più grande di lui, che per fortuna parlava arabo e inglese. Noi così gli facevamo le domande in inglese e lui le scriveva in arabo per il ragazzino sordomuto».
Uno dei minorenni sbarcati ha raccontato di essere stato venduto per 700 dinari. «La banda che mi ha comprato - spiega – mi ha preso come schiavo, costringendomi a lavorare gratis per mesi. In Libia i migranti diretti in Europa sono considerati peggio delle bestie». Storie dure ma Bruna sottolinea che «abbiamo fatto il nostro servizio in allegria come al solito. Abbiamo distribuito la colazione e l’acqua, vestito bambini e donne. È la nostra normale attività per ogni sbarco».
Che ha momenti duri, come le storie di tortura, e momenti allegri. «L’immagine più bella è stata ancora prima dello sbarco. Tutti e venti ci siamo avvicinati proprio a ridosso della nave. Infatti grazie a Dio la Polizia e la Guardia costiera ce lo permettono. Abbiamo cominciato a cantare. Canti allegri, di pace e di benvenuto, come Kumbaya. Allora l’equipaggio ha fatto uscire i bambini e le donne sul ponte della nave. Eravamo vicini vicini. E loro hanno cominciato a cantare, rispondendo al nostro canto. È questa davvero l’immagine più bella di questa lunga giornata».
Non l’unica. «Con loro è sempre un’emozione, ti ringraziano, ti vogliono baciare le mani. Come sempre gli ho fatto vedere una cartina che rappresenta l’Italia e in particolare la Calabria. Gli ho insegnato a dire 'io sono a Reggio Calabria' e loro tutti in coro ripetevano 'Io sono a Reggio Calabria'. Un coro alto, bellissimo. E così scaricavano la loro tensione».
Immagini che cozzano con tante parole ascoltate in questi giorni contro i migranti e chi li accoglie. Bruna non si tira indietro. «Le polemiche di questi giorni, le accuse all’accoglienza non mi fanno più arrabbiare. Purtroppo tanta umanità è andata a friggersi. Noi di fronte alla sofferenza continuiamo a lavorare. Io noto solo che alla fine non hanno potuto fare altro che farli sbarcare. Il fenomeno della migrazione non si ferma con la bacchetta magica. Andrà avanti con momenti più o meno intensi. Il nostro compito è solo quello di accoglierli e di integrarli nella nostra società. E questo noi continuiamo a fare. Mi dispiace per chi soffre per quello che facciamo, ma perdono una fetta di umanità importantissima. Noi siamo sempre pronti, rispondiamo subito a qualunque ora. Estote parati, è il motto di noi scout. Di fronte alle polemiche la nostra risposta è l’agire».