Tampone eseguito nel parcheggio dell’Allianz Stadium a Torino - Reuters
Marzo è lontano, anche alle Molinette. «Allora arrivavano in Pronto soccorso soprattutto anziani con una polmonite avanzata: il 40% di loro moriva. L’età media è più o meno la stessa, ma adesso muore il 2-3% perchè arrivano qui ai primi sintomi di Covid-19». Franco Riccardini presidia la prima linea del fronte torinese. Nel più vecchio ospedale della città subalpina, il più grande della regione e il terzo italiano, si tira un sospiro di sollievo al solo udire la parola plateau.
Del resto, si sa, il Piemonte è rosso, anche se governa il centrodestra. Le immagini delle barelle a Rivoli, coi pazienti a terra, bruciano ancora. Si lavora sodo al nuovo ospedale da campo del Valentino. Garantirà 450 posti per la bassa intensità. Sgravare ospedali come questo dai malati che ce la possono fare resta prioritario, in attesa di una nuova ondata di ricoveri che potrebbe non arrivare ma che nessuno si sente ancora di escludere. «Siamo un motore a otto cilindri – ci dice il commissario Giovanni La Valle – e non possiamo fermarci».
Tic automobilistici. Si capisce da queste piccole cose che siamo a Torino. Ora che la vecchia Fiat non c’è più, la Città della salute è una delle industrie più importanti: quattro ospedali e diecimila dipendenti, tutte le specialità possibili, primo centro trapianti del Piemonte e molto altro. Ma c’è la tagliola del Covid- 19.
Qui, come al Mauriziano e all’Asl Città di Torino. La Valle è uno massiccio e combattivo, che non si fa soverchie illusioni. «Se la situazione dei malati gravi dovesse precipitare, faremo come la Lombardia in primavera, cioè polarizzeremo in alcuni ospedali le attività complesse, ma non possiamo bloccare cardiochirurgia, ortopedia, oncologia e tutte le eccellenze che abbiamo costruito in decenni».
Questo non è un hub, ripete, è un iper-hub. Insomma, un Piave da difendere fino all’ultima mascherina. Finora, la risposta è stata «fortissima», giura, spiegando che sono già state attivate più aree Covid di quante ve ne fossero in primavera. Nell’intera Città della Salute ci sono 290 posti letto dedicati alla cura del virus e 210 sono qui alle Molinette. Ovviamente, alcuni pazienti delle aree complesse sono allocati anche nei reparti specialistici, in stanze ad hoc. Isolati. Il punto debole della difesa è il personale. È stanco. È poco. Il virus morde di meno, ma l’attesa dei rinforzi è ancora quella del Carso. Gli specializzandi sono i nuovi ragazzi del ’99. A complicare le cose interviene la paura.
Mauro Rinaldi - /
Quella che non c’è più. Se in marzo l’afflusso al pronto soccorso calò del 40% per il terrore del contagio, adesso si è tornati quasi alla normalità. Dal punto di vista della prevenzione ciò è positivo, tuttavia questa marea va gestita. «Riusciamo a intercettare più malati – ammette Riccardini – ed è una fortuna perchè a marzo le appendiciti arrivavano qui quand’erano ormai peritoniti. Quanto ai pazienti Covid, dopo una fase iniziale in cui vedevamo molti giovani, ora sono soprattutto anziani, ma arrivano con polmoniti meno severe, perchè approdano prima in ospedale ». Cortisone ed eparina sono le uniche armi a disposizione. In alcuni casi si usa il plasma iperimmune. Riccardini è moderatamente ottimista. «Per quindici giorni ci attendiamo una lieve diminuzione dei ricoveri, ma si ragiona di settimana in settimana ».
La Valle conferma che prevalgono i ricoveri di media e alta complessità, rispetto alla terapia intensiva, il che significa che potreb- bero scarseggiare le aree di degenza. Si aspetta il Valentino e intanto si continua a far finta che sia un giorno come gli altri, anche se in tempo di pace alle Molinette si facevano 90mila ricoveri all’anno, 180mila passaggi nei quattro Dea e 6 milioni di prestazioni ambulatoriali, mentre ora si taglia tutto quel che si può. Gli interventi non procrastinabili hanno ovviamente la priorità. Oncologici innanzi tutto. A ruota, segue la cardiochirurgia. Con qualche mugugno. Mauro Rinaldi, ordinario e primario del reparto in cui si fanno più trapianti definisce «negletto» il suo settore, perché la delibera regionale privilegia i malati oncologici. «Abbiamo forti vincoli sul tipo di interventi che possiamo fare, manca una precisa categorizzazione – osserva – e infatti non sono consentiti tutti gli interventi cardiovascolari come avviene invece per gli oncologici.
Eppure una insufficienza mitralica severa con coronaropatia trivasale ha mortalità più alta di qualsiasi tumore della prostata ». Per contro, i malati di cuore, che in primavera rifuggivano i nosocomi per timore di beccarsi il coronavirus – conferma Rinaldi –, oggi si fanno visitare di buon grado, «il che riduce i casi disperati, come infarti destruenti». C’è già stata una riduzione del 50% degli interventi cardiochirurgici e anche La Valle ammette che qualche problema c’è.
«La Regione dice di mantenere attiva l’emergenza- urgenza in oncologia e di intervenire quando non è procrastinabile... In realtà, noi cerchiamo di mantenere attive tutte le eccellenze senza perdere un metro del terreno medico e scientifico che abbiamo conquistato. Qui arrivano tutti i casi più complessi e anche il più banale intervento, se serve ad evitare che la funzionalità dell’organo sia compromessa, va fatto. E lo facciamo». Ieri, alle Molinette è stato effettuato l’ennesimo trapianto di polmone.