Attenzione elevata, ma accompagnata da un profilo basso. Le preoccupazioni per eventuali ripercussioni in territorio italiano o sugli interessi nazionali all’estero innescate dalla «polveriera» libica, come l’aveva definita a Bruxelles la scorsa settimana il premier Matteo Renzi, esistono. Ma né i servizi d’intelligence, né il ministero dell’Interno, né lo stesso governo intendono enfatizzarle: «Non è in atto alcuna emergenza», è la valutazione fatta trapelare in serata dal ministero dell’Interno. La consegna resta la stessa degli ultimi tempi: vigilare sugli obiettivi sensibili e non sottovalutare segnali, espliciti o velati, di minaccia, ma evitando allarmismi o sovraesposizioni mediatiche, perché, osserva una fonte, «soffiare sul fuoco non aiuta». Ieri il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha scelto di non recarsi a Napoli, dove era in programma un comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, e ha presieduto un lungo
briefing, in cui il capo della Polizia Alessandro Pansa l’ha ragguagliato sulla situazione, aggiornando aspetti evidenziati dal Comitato di analisi strategica antiterrorismo.
Oggi vertice a Palazzo Chigi? L’incontro di ieri, secondo alcune fonti, sarebbe servito anche a preparare una riunione ristretta, convocata forse già stamattina presto a Palazzo Chigi e presieduta dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, alla quale potrebbero partecipare i titolari dei dicasteri interessati in modo diretto dalla questione (Interno, Esteri, Difesa), il sottosegretario con delega all’intelligence e pochi altri. L’intenzione del premier è di prendere visione in modo meticoloso delle informazioni militari e di sicurezza sull’escalation in terra libica, in vista di decisioni che comunque non appaiono immediate. Ma si ragiona pure sul fronte 'interno' di Italia e Ue, perché l’attacco di Copenaghen ha riproposto lo schema di minaccia portata da «lupi solitari » o «foreign fighters», concretizzatasi il 7 gennaio a Parigi : «Gli attentati di queste ore sono tutti di cittadini europei, residenti e cresciuti nei Paesi d’origine – osserva Renzi –. Non significa voler sottovalutare i problemi in Libia o in Siria, ma la realtà e più complessa dei nostri slogan».
Le minacce del filmato. L’intelligence ragiona sul filmato dell’uccisione di 21 ostaggi egiziani di fede cristiano-copta, intitolato «Messaggio firmato con il sangue alla Nazione della Croce» e attribuito a un gruppo che si identifica come «Lo Stato Islamico della provincia di Tripoli ». A destare inquietudine non è solo l’ostentazione di un 'avvicinamento geografico' («Ci avete visti in Siria, ora siamo qui, a sud di Roma»), ma anche il timore che il filmato suoni come un messaggio ad altri soggetti, gruppi o 'cani sciolti', per invitarli ad annoverare l’Italia (storicamente ritenuta
Dar al-da’wa, terra di predicazione) nelle
Dar al-harb, terre di conflitto.
«Somalizzazione» libica e interessi italiani. Fra i dossier informativi sul tavolo c’è quello sul precipitare della situazione a Tripoli e in altre aree dello Stato nordafricano. L’incubo peggiore resta quello di una «somalizzazione» della Libia, con minacce dirette per gli interessi italiani: le strutture dell’Eni, soprattutto lo stabilimento di Mellitah, e una decina di imprese nella meccanica e nelle costruzioni.
Rischio esodo. L’altro dossier intrecciato riguarda il rischio di un aumento delle ondate di profughi. Dal 2014, su quasi 175mila migranti approdati sulle coste italiane, 142mila sono partiti dalle coste libiche. Ora il deflagrare del conflitto potrebbe accelerare le partenze. Su 500mila stranieri in Libia, sarebbero almeno 200mila i profughi ammassati nelle zone di Tripoli, Garabulli, Janzur, ma soprattutto sulla costa di Al Zwara, da anni base degli scafisti: «Rischiamo un esodo senza precedenti», avverte Alfano. E anche i soccorsi in mare andranno condotti con prudenza: gli spari di domenica contro una motovedetta della Guardia costiera al largo di Tripoli fanno temere un salto di qualità, con elementi più pericolosi (e forse integralisti) entrati nel business della tratta.