martedì 1 dicembre 2015
​Avvenire anticipa l'analisi del Censis che verrà presentata venerdì.  Cresce il rischio di islamofobia e anche la voglia di armarsi.
L'INTERVISTA  Valerii: «L'antidoto è nei contatti quotidiani»
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L’integrazione al tempo del Jihad. Ovvero come combattere il radicalismo islamico – che rischia di spazzare via anni di convivenza – senza cadere nell’islamofobia. Il flusso per mare e per terra dei profughi, la guerra in Siria, le bandiere nere del Daesh hanno spinto gli italiani a mettere il terrorismo internazionale al primo posto tra le minacce percepite. Ma - quel che è più preoccupante - a considerare negativamente anche la religione musulmana. La ricerca del Censis. È questa l’analisi fatta dal Censis nella ricerca su «Le paure degli italiani al tempo del Jihad globale», che Avvenire è in grado di anticipare (e che verrà presentata venerdì prossimo). Un’analisi che invita politici e operatori sociali a «potenziare gli antidoti» e «governare la paura», per non snaturare quel modello italiano che è riuscito ad assorbire oltre 5 milioni di immigrati, un terzo dei quali musulmani. Un’«operazione strategica» fondamentale, per saldare le «pericolosissime fratture che i jihadisti tentano di approfondire». La paura della grande crisi. Le paure non vanno cavalcate, ma nemmeno prese sottogamba, avverte il Centro Studi Investimenti Sociali. Timori diversi si sono succeduti nel corso degli anni. Nel 2010 al primo posto (per il 44% degli italiani) c’era la difficile congiuntura economica, seguita dalla disoccupazione (40%) e dall’inflazione (30%). Tutto il resto aveva un peso minore, compresa l’immigrazione (14%). Il terrorismo era al nono posto (4%). Voglia di armarsi. L’aumento dei furti in casa (dal 2005 al 2014 sono passati da 120.587 a 255.886, più 112%), ha alimentato un secondo ciclo di fobie. Capaci di «insinuare la percezione che occorra ampliare la sfera dell’autodifesa, fosse pure armata». Per il Censis sono 13,5 milioni gli italiani «convinti che occorra semplificare le regole per il possesso e l’uso delle armi». Anche se resta contraria la maggioranza degli italiani, colpisce il desiderio di una liberalizzazione 'all’americana' di oltre un quarto dei maggiorenni (26%), più di un terzo dei giovani (quasi il 35%) tra i 18 e i 34 anni, dei maschi (meno del 33%), molti residenti del Nord-Est (quasi il 28%) così come le persone di livello socio-economico medio-basso. Il pregiudizio anti-islamico. Di estrema attualità, infine, il terzo ciclo di paura, il più recente. L’indagine realizzata dal Censis in vista del Giubileo, ha sondato gli umori degli abitanti della Capitale, prima dei tragici attentati di Parigi. Quello che emerge è già un timore crescente del «terrorismo internazionale », che preoccupa quasi la metà dei romani, il 43% degli intervistati. È la paura numero uno, prima della «crisi economica» (39%), dei «cambiamenti climatici forieri di catastrofi» (quasi il 35%). Al quarto posto (oltre il 26%) arrivano ancora «le guerre legate alle diversità religiose e culturali », poi «la perdita di competitività della Capitale » (21%) e ancora «le ondate migratorie» (poco meno del 20%). Timori comprensibili. Più preoccupante è il travaso generalizzato di queste paure sull’islam. Perché il 44,9% dice di avere un’opinione negativa della religione musulmana, a fronte di un 25% che ha un giudizio positivo. La conoscenza diretta attenua ben poco il pregiudizio: 41,1%. E il sospetto verso il credente in una fede 'diversa' sorprendentemente si allarga anche alla religione ebraica, poco apprezzata da un 21% (che scende al 16 tra chi ha contati diretti con ebrei). «Sebbene si sia lontani dai dati di opinione della società francese – dice la ricerca – dove pensano che le religioni siano incompatibili coi valori della loro società (un francese su due per l’islam e uno su cinque per l’ebraismo) è indispensabile evitare che le differenze si cristallizzino fino a diventare fratture o vere e proprie inimicizie». E dunque: «Una società pluralista, policentrica, poliarchica » come quella italiana «ha bisogno di potenziare gli antidoti a ogni radicalizzazione settaria che, se nell’immmediato colpirebbe soprattutto la religione musulmana o quella ebraica, potrebbe avere effetti di compromissione della stessa natura tollerante e relazionale della nostra società».
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