(Foto d'archivio Ansa)
Sostenere il patto per la natalità. Rilanciare la cultura dell’accoglienza. Avviare una grande iniziativa capace di coalizzare le migliori risorse pubbliche e private per trasformare adozione e affido da pratiche residuali a progetto popolare e condiviso di bene comune.
Un sogno possibile nel momento in cui i dati parlano di un crollo verticale delle adozioni internazionali e di una crescente indifferenza verso la cultura dell’accoglienza? E, allo stesso tempo, di un aumento del ricorso alla fecondazione assistita come 'prima scelta' nel caso di sterilità di coppia? Nessuno nega la complessità della situazione e la difficoltà di fare breccia in un atteggiamento sociale sempre più radicato che sembrerebbe mettere da parte la logica dell’apertura, del dono, della solidarietà generazionale. Ma i rappresentanti delle associazioni che giovedì pomeriggio hanno accettato di confrontarsi con il direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della famiglia, don Paolo Gentili, e con il presidente del Forum delle associazioni familiari, Gianluigi De Palo, si sono detti consapevoli del rischio di impegnarsi in una sfida straordinaria. Quella di inventare un nuovo e più convincente approccio all’adozione – nazionale e internazionale – e all’affido nelle sue diverse modalità, proprio quando questi istituti che parlano di responsabilità, generosità, e condivisione sembrano conoscere i giorni più amari. Una ventina le associazioni sedute intorno a un tavolo (tra le altre Age, Aibi, Progetto famiglia, Rinnovamento nello Spirito, Cammino neocatecumenale, Masci, Opera San Vincenzo, Terz’ordine secolare francescano, Famiglie per l’accoglienza, Maestri cattolici, Famiglie numerose, Cif, Mcl, Associazione Papa Giovanni XXIII).
Non tutte aderenti al Forum e non tutte caratterizzate da una specifica vocazione per l’adozione e l’affido. Eppure la sensazione dei presenti è stata quella di vivere un grande momento di svolta. Dallo sguardo rassegnato di chi, di fronte a difficoltà obiettive e analisi non esaltanti, rinuncia alla partita, alla proposta gioiosa di chi crede che il bene della parte più preziosa della società, i bambini e i ragazzi meno fortunati, sia sempre e comunque un obiettivo da perseguire con convinzione. Ma come fare? Intanto il progetto ha già un nome, “Insieme per accogliere” e alcuni punti fermi che Cristina Riccardi di Aibi ha sintetizzato nella volontà di non lasciare sole le famiglie disponibili, di mostrare il lato positivo dell’accoglienza, di raccogliere testimonianze forti, di lavorare per un cambiamento culturale, di sostenere il lavoro delle istituzioni che ancora credono nella possibilità di accompagnare e qualificare l’impegno delle famiglie accoglienti. Perché questi professionisti che non hanno smesso di sorridere a chi apre le porte di casa a un bambino che non ce l’ha esistono nei Tribunali per i minorenni, negli uffici degli assistenti sociali, nei Comuni e nelle Asl che coordinano i servizi per l’affido, nelle comunità d’accoglienza. Ma anche in alcuni ruoli chiave (Garante per l’infanzia, Commissione per le adozioni internazionali) che hanno la possibilità di sostenere e accompagnare il nuovo progetto.
«Spesso – ha detto Riccardi – sentiamo parlare di adozione e di affido solo come problema. Dobbiamo cercare di rovesciare questa situazione». Proprio nei numeri relativi alle adozioni, spesso presentati solo come la prova di un’eclisse senza fine, si possono invece cogliere spiragli di speranza. Tra le circa diecimila coppie che ogni anno presentano domanda per l’adozione nazionale, poco più del dieci per cento riuscirà a raggiungere il suo obiettivo. Non si tratta né di sfortuna né di ostacoli burocratici. Quello è infatti il numero di bambini adottabili che si rendono disponibili ogni anno in Italia. Per le altre novemila coppie si apre un lungo percorso di attesa, spesso senza esiti, oppure il passaggio all’adozione internazionale che richiede però costi e disponibilità non sostenibili da tutti. Rendere più facile e più agevole questo percorso, soprattutto abbattendo radicalmente i costi, sarebbe il messaggio più incoraggiante per le famiglie intenzionate ad aprirsi all’accoglienza, trattenute finora da troppe notizie negative.
«Insieme per accogliere – ha aggiunto Nino Di Maio di Progetto famiglia – dovrà avere il sostegno del maggior numero possibile di associazioni e di realtà nazionali e locali. Accogliere fa crescere la coppia e umanizza la società». Rosaria D’Anna, presidente nazionale Age, ha sollecitato una campagna informativa rivolta ai tanti genitori che non hanno ancora approfondito la possibilità di aprirsi ai percorsi dell’adozione e dell’affido, mentre Marco Giordano, segretario del Tavolo nazionale per l’affido, ha spiegato che tutte le famiglie avrebbero la possibilità di aprirsi all’accoglienza seguendo la logica dei piccoli passi, per esempio cominciando con l’affido diurno, prassi poco conosciuta, poco impegnativa, eppure capace di costruire relazioni positive.