Il 18 febbraio 2014, sul blog del capo, venne indetta una votazione lampo. Con un testo di poche righe, i vertici invitarono il popolo pentastellato a scegliere tra due opzioni e manifestarono palesemente la loro preferenza: «L’assemblea del Movimento 5 Stelle in Parlamento sta discutendo se andare da Renzie (nomignolo affibbiato all’ex premier, ndr) per le consultazioni. Ci sono posizioni differenti. Noi crediamo che non sia opportuno andare, per non partecipare a una farsa. Comunque ci sembra corretto che su questa decisione si pronuncino gli iscritti attraverso la Rete». In calce al messaggio, ecco la doppia firma: Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. La consultazione interna si concluse con una vittoria dei favorevoli all’incontro. La maggioranza, cioè, si ribellò al volere dei due garanti e costrinse il capo politico ad andare a Roma per confrontarsi con l’allora presidente incaricato di formare un governo. Fu l’apice della tanto sbandierata 'democrazia diretta'. La base grillina, a colpi di clic, aveva il potere di determinare decisioni cruciali. A distanza di poco più di tre anni, siamo passati al 'metodo Genova'. Con Grillo che ha annullato il voto online in cui era risultata vincitrice una candidata sindaca 'sgradita', Marika Cassimatis, senza uno straccio di giustificazione. «Se qualcuno non capirà, vi chiedo di fidarvi di me», si è limitato a scrivere il fondatore. Siamo di fronte a un precedente pericoloso per il Movimento. Perché sebbene i Direttori (nazionali e romani) e l’esposizione mediatica di una ristretta cerchia di eletti avessero mandato in soffitta da tempo il vecchio motto 'uno vale uno', finora almeno il principio cardine della 'sovranità degli iscritti' non era mai stato violato. Dopo il caso Genova non è più così. Anzi, la democrazia diretta adesso assomiglia a una 'Grillocrazia'.
Violato il principio della sovranità degli iscritti tanto cara al Movimento con il caso Genova
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