Donne e uomini, tra i 30 e i 60 anni, arruolati nelle province di Brindisi e Taranto, erano caricati su furgoni e trasportati sui campi del Metapontino a raccogliere frutta: dieci indagati Sfruttamento made in Italy. Caporali italiani e braccianti italiani. E imprenditori italiani. Accade tra la Puglia e la Basilicata. Non storia antica, ma di oggi. Storia di grave sfruttamento, come per i braccianti immigrati. L’hanno scoperta i carabinieri del Nucleo Operativo di Policoro e dei Nuclei Ispettorato del Lavoro di Matera e Potenza in collaborazione col Raggruppamento Operativo Speciale.
Sono così finiti sotto inchiesta dieci caporali, tutti italiani tra i 34 e i 55 anni, 9 uomini e 1 donna residenti nelle province di Taranto e Brindisi. Ieri hanno ricevuto l’avviso di garanzia emesso dalla Procura di Matera poiché ritenuti responsabili, in concorso tra loro, del reato di intermediazione illecita di manodopera da sfruttare nei campi. Caporalato, appunto. Personaggi in gran parte già noti alle forze dell’ordine per altri reati. E proprio indagando su altri fatti, i carabinieri hanno scoperto questo mercato delle braccia. Donne e uomini, tra i 30 e i 60 anni, arruolati nelle province di Brindisi e Taranto, caricati su furgoni e trasportati sui campi del Metapontino a raccogliere frutta per 10-12 ore al giorno, per 27 euro, meno di 3 euro l’ora. I caporali si prendevano altrettanto e anche di più, per trasporto e intermediazione. Lavoro nero, ovviamente, senza alcun contributo versato. Più della metà lo incassavano i caporali, meno della metà finiva ai braccianti, che secondo il contratto avrebbero dovuto ricevere 8 euro l’ora, oltre ai contributi. Un 'salario' molto simile a quello che solitamente viene pagato ai braccianti immigrati, gli ormai famosi 25 euro al giorno. Non c’è da stupirsi.
Tra le 260 inchieste avviate da 99 procure sullo sfruttamento dei lavoratori dopo l’approvazione dell’importantissima legge 199 del 2016, conosciuta come 'legge anticaporalato', 15 hanno riguardato lavoratori italiani. Al Sud e al Nord. E la legge 199 venne finalmente approvata, superando tante resistenze, solo dopo la morte, il 13 luglio 2015, di Paola Clemente, 49 anni, mamma di tre figli e bracciante sfruttata. Anche lei, come i braccianti sfruttati nel Metapontino, era della provincia di Taranto, e veniva portata da caporali italiani nei vigneti di imprenditori italiani. In piedi, sotto il sole, per ore e ore, per circa tre euro l’ora. Proprio la stessa cifra. E sempre dalla Puglia, da Ceglie Messapica, nel Brindisino, venivano Pompea Agentiero (16 anni), Lucia Altavilla (17) e Donata Lombardi (23), morte il 9 maggio 1980, in un incidente stradale, stipate in un furgone. Le stava portando a raccogliere fragole, sfruttate da caporali e imprenditori italiani. Dopo quaranta anni gli stessi furgoni, lo stesso sfruttamento. I dieci caporali coinvolti nell’inchiesta, coordinata dal Procuratore di Matera, Pietro Argentino e dal pm Annafranca Ventricelli, reclutavano i braccianti pugliesi, provvedevano alla gestione della richiesta di manodopera da parte dei datori di lavoro, e, dopo averli suddivisi in squadre, si occupavano del trasporto per il successivo impiego nei campi per la raccolta della frutta nei comuni di Montalbano Jonico e Scanzano Jonico. Dieci, dodici ore di lavoro, senza pausa, neanche per un panino, e in assenza delle più basilari norme in materia di sicurezza e igiene. «Il caporale restava lì, controllava che i braccianti lavorassero sodo, che fossero produttivi. E se non lo erano, li richiamava » ci spiega un investigatore.
Un ruolo non solo da intermediario, ma da vero collaboratore del datore di lavoro, che non poteva non sapere. L’emergenza Covid-19 e il lockdown, con l’interruzione di molte attività economiche, ha di fatto impedito, almeno per ora, di accertare le responsabilità degli imprenditori. Ma l’inchiesta, e non solo questa, va avanti. «Ci aiuta molto la legge 199, che facilita le indagini permettendo di utilizzare strumenti investigativi più efficaci» sottolinea ancora l’investigatore, ripetendo quanto dicono forze dell’ordine e magistrati impegnati su questo fronte. La migliore risposta ai critici di questa legge.