In occasione della Giornata Internazionale della Fraternità Umana, giovedì 4 febbraio si è tenuto a Foligno, alle 21, un incontro dal titolo “Parole povere, vendere e donare”.
Il secondo appuntamento, inserito tra le celebrazioni per il centenario della rivista San Francesco, ha visto la partecipazione della direttrice della Nazione Agnese Pini, dell'economista Carlo Cottarelli, del ministro provinciale della provincia italiana di San Francesco d'Assisi dei Frati Minori Conventuali, padre Franco Buonamano, e del direttore della rivista San Francesco, padre Enzo Fortunato.
Ogni mese i frati della Basilica di San Francesco si mettono in dialogo in una piazza diversa d’Italia per celebrare San Francesco e il suo passaggio. Dopo il primo incontro di Assisi, il viaggio è proseguito dunque a Foligno, la piazza dove Francesco vendette i suoi beni per donare ai poveri.
San Francesco negli affreschi di Cimabue nella Basilica di Assisi - Ansa
Pubblichiamo qui di seguito un intervento di monsignor Gualtiero Sigismondi, vescovo di Orvieto-Todi e amministratore apostolico di Foligno.
Nel “firmamento” dei santi splende come “un sole” Francesco d’Assisi: “uomo semplice, umile e libero”. La sua “disarmante semplicità” manifesta, come canta Iacopone da Todi nella lauda a lui dedicata, “la smesurata amanza de lo cor enfocato” dalla ricerca dell’unum necessarium. San Francesco splende tra i santi come “uomo umile”; la sua vita testimonia che l’umiltà, “porta di ogni virtù” e “sorella gemella della mitezza”, annienta ogni inganno del nemico.
L’umiltà è il cemento della concordia, è l’olio che lubrifica i processi del dialogo e rende fecondo il cammino dell’obbedienza. San Francesco, icona del vero cristiano, si distingue come “uomo libero”; egli insegna che la libertà, se sganciata dalla verità, diventa un “pretesto per la carne” (cf. Gal 5,13) o un “velo per coprire la malizia” (cf. 1Pt 2,16). Al contrario, se illuminata dalla verità (cf. Gv 8,32), la libertà si apre alla dimensione che la realizza in pieno, quella del dono di sé.
La Liturgia ritrae Francesco non solo come “uomo semplice, umile e libero”, ma anche come “uomo cattolico e tutto apostolico”. La latitudo cordis è l’unità di misura della carità apostolica di Francesco, che fa pensare a un avvenimento verificatosi nel 1207: il sogno di Innocenzo III, il quale vede la basilica di San Giovanni in Laterano puntellata dal Poverello con le sue spalle. Giotto raffigura Francesco intento a sollevare, con l’argano della povertà, la “Chiesa madre di tutte le chiese”, “colonna e sostegno della verità” (cf. 1Tm 3,15).
In Francesco la povertà non ha un valore sociologico, ma ha un significato teologale: è un modo radicale di imitare Cristo il quale, “da ricco che era, si è fatto povero” (cf. 2Cor 8,9). La povertà, vissuta sine glossa, è la regola del suo rapporto con Dio senza mediazioni. “Nulla tra lui e Dio – scrive Romano Guardini nell’opuscolo in cui traccia il profilo di Francesco –; di questo è forma la povertà. La sua povertà è libertà. Questa libertà è tuttavia amore”.
Interamente riferito a Dio, perfettamente libero per Lui: così Francesco intende Madonna Povertà. Egli, sposandola, si spoglia di tutto, persino di se stesso (cf. Fil 2,7), e sperimenta che la povertà è, al tempo stesso, condizione di vera libertà e presupposto della carità fraterna.
La spogliazione di San Francesco avviene in tre atti: a Foligno vende tutte le stoffe e persino il cavallo, con l’intenzione di restaurare la chiesa di San Damiano; davanti a Guido, Vescovo di Assisi, si spoglia dei suoi abiti e rinuncia all’eredità paterna; al rientro dal pellegrinaggio in Terra Santa, consegna il governo dell’Ordine al suo vicario, fr. Pietro Cattani, mentre papa Onorio III affida la protezione dell’Ordine al card. Ugolino, futuro Gregorio IX.
Con questa definitiva spogliazione Francesco attua l’obbedienza nella sua forma più pura, l’obbedienza nuda, confermata dalle stimmate, ricevute “due anni prima della sua morte” presso il Sasso Spicco della Verna, ove sperimenta la profonda unità tra “sequela, imitatio e conformatio Christi”. “L’esser una cosa sola col Crocifisso – precisa Romano Guardini – adempie qui la sua consequenzialità estrema”.
monsignor Gualtiero Sigismondi
vescovo di Orvieto-Todi e amministratore apostolico di Foligno