Il tabellone con i risultati del voto di fiducia alla Camera (Ansa)
Quattrocentoquarantuno. È il numero che gira in queste ore a Montecitorio. Fiato sospeso alla Camera dei deputati per il voto finale, a scrutinio segreto sulla legge elettorale che potrebbe esserci stasera e che non solo sancirà le sorti di questo fine legislatura, ma metterà anche le basi per poter avviare la prossima. E 441 è il calcolo che tutti fanno dei voti in astratto convergenti sul “Rosatellum” (un terzo dei seggi eletti nei collegi con il maggioritario, due terzi con liste bloccate e sistema proporzionale). Al netto, naturalmente, delle insidie del voto segreto e dei franchi tiratori.
Un calcolo che viene avallato da Pino Pisicchio, considerato il più esperto osservatore dal di dentro delle cose di Montecitorio, nonché – da capogruppo del “misto” – conoscitore come nessun altro di quella terra di mezzo composta di deputati delle formazioni minori o “senza patria” di cui è difficile pronosticare le intenzioni. Questi numeri portano a ritenere che l’accordo Pd-Fi-Lega-Ap possa tenere. «Ci sono circa 100 voti di margine – fa i conti Pisicchio – e mi sembra difficile immaginare che su un accordo così blindato i voti in libera uscita possano essere più di un 60-70». Sono infatti 283 deputati del Pd (sebbene la componente di minoranza con Andrea Orlando non nasconda delle perplessità), 50 di Forza Italia, 23 di Area popolare, 19 della Lega, 14 di Civici ed Innovatori, 6 delle Minoranze linguistiche, 17 di Scelta Civica-Ala, 12 di Democrazia solidale-Centro democratico (che però sono molto critici sul testo e contrari alla scelta della fiducia), 11 di Direzione Italia di Raffaele Fitto, 6 dell'Udc e 4 del Psi. Da questo calcolo bisogna togliere però i 3 del Pd che hanno già detto che voteranno no: Rosy Bindi, il prodiano Franco Monaco e il lettiano Marco Meloni. Il fronte del no invece conta sulla carta solo sui 13 voti di Mdp, gli 11 di Fratelli d’Italia (durissimi con gli alleati di centrodestra che sono invece favorevoli), gli 88 del M5S, i 17 di Sinistra italiana e i 5 di Alternativa libera. In tutto fanno 164 voti. Ci sono poi molti del “misto” che non hanno dichiarato le loro intenzioni, fra cui due deputati vicini a l’ex sindaco di Verona Flavio Tosi e lo scrittore Edoardo Nesi, che comunque vengono dati come potenziali favorevoli, ad aumentare ancor più la base di consenso della norma. Mentre l'ex ministro Enrico Costa viene dato tra i contrari.
Superato l'ultimo voto di fiducia
A fine mattinata il testo ha superato anche l’ultimo voto di fiducia, il terzo, sull'articolo 3. L'ultima è arrivata stamattina con 309 sì, 87 no e 6 astenuti. Pochi se si trattava di una conta nella maggioranza, ancora sotto la soglia di autosufficienza del governo (315), ma l’uscita dall’aula dei contraenti fuori dall’area di governo (Lega e Forza Italia, ha notevolmente abbassato il quorum togliendo alla votazione ogni tipo di interesse. Interesse che si sposta ora tutto sul voto segreto. Nonostante gli appelli di tanti, primo fra tutti il presidente emerito Giorgio Napolitano, l’idea di tenere aperta la discussione sui singoli punti non è passata. Sarà un “prendere o lasciare” in blocco, operazione – per salvare il salvabile – alla quale si è prestato anche il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni che – su richiesta dei partiti di governo, con Forza Italia e Lega “benevole” – si è visto costretto a chiedere la fiducia, dopo aver dichiarato che questo governo sarebbe rimasto fuori da questa contesa. Ma Gentiloni aveva anche detto che, all’occorrenza si sarebbe prestato a fare da “facilitatore”. Gli è stato quindi chiesto di immolarsi, e a quel punto anche il Quirinale non ha frapposto ostacoli.
Il colloquio Rosato-Fico
In tarda mattinata un lungo siparietto si è registrato, nei corridoi di Montecitorio, con un fitto colloquio fra il capogruppo del Pd Ettore Rosato che dà il nome alla proposta e il leader dissidente di M5S Raffaele Fico, che più di tutti si era battuto contro il precedente accordo raggiunto e poi bocciato in una votazione segreta sul Trentino Alto Adige. Nell’analisi contrapposta, ma pacata, fra i due (mentre in paizza prosegue la protesta, con ben altri toni) è toccato a Rosato accusare M5S di essersi tirata fuori, costringendo gli altri contraenti al voto di fiducia per evitare rischi, mentre il presidente grillino della Vigilanza ha avuto gioco facile a ricordare le divisioni del Pd cha sarebbero la vera motivazione di questa scelta così discussa, ossia l’adozione della fiducia su una materia che è strettamente prerogativa parlamentare. Fra poche ore, all’esito del voto segreto, sapremo se questa forzatura (che appanna molto l’immagine di imparzialità che Gentiloni era riuscito ad accreditare di se) sarà almeno servita allo scopo: salvare il salvabile, ed evitare il peggio. Ossia, a votare su due leggi bocciate dalla Consulta, disomogee fra loro, appena appena emendate degli aspetti incostituzionali. Ma quand’anche la nuova legge passasse sarà di nuovo la Consulta a doversi pronunciare, fra qualche tempo, in caso di ricorso. E i dubbi di incostituzionalità (fra pluricandidatire e assenza di preferenze) non sono per niente fugati.
>> L'editoriale Rosatellum, meglio di niente, ma... di Marco Tarquinio