«Sergio Mattarella è un personaggio positivo. È un simbolo della lotta alla mafia...». Una pausa leggera. Matteo Renzi agita le mani come per dare forza a quel messaggio mentre i senatori del Pd raccolti a Palazzo Madama nella sala Koch lo ascoltano sorpresi da quella inattesa trasparenza. «Punto su Mattarella, oggi è lui il candidato del Pd. Perchè ha rigore morale. E perchè dentro il nostro partito non ha veti...». È ancora mattina e il vertice con i senatori Pd si è appena concluso. Renzi decide di fermarsi. Di spiegare a tutti il piano. Con parole nette. Con linearità. Qualcuno lo interroga sulle possibili alternative e lui non si sottrae. «Amato è un fuoriclasse, ha statura internazionale, ha competenze... Veltroni? Sapete quanto lo stimo... Ma il nome è Mattarella. È l’unico che unisce, l’unico in grado di crescere davvero oltre i confini del Pd». Una nuova pausa precede l’ultima richiesta di unità: «Con 450 voti del Pd non ci fa paura nessuno. Andiamo dritti con Mattarella». Non è una partita facile e la dimostrazione arriva tre ore più tardi. Palazzo Chigi, ore 13.30. Silvio Berlusconi prova a frenarlo, Renzi non ci sta: «Guarda Silvio, io vado avanti. Non mi puoi dire 'Mattarella è fazioso', non è così e il tuo 'no' non è ragionevole, non lo capisco. È vero, si dimise contro di te (per gli effetti favorevoli alle televisioni private della legge Mammì del 1990,
ndr), ma sono passati venticinque anni e comunque quella scelta rivela solo la tempra dell’uomo, il suo rigore». L’ex Cav resiste, ma non chiude. Deve attivare la sua solita rete di consultazioni. Al suo fianco c’è Denis Verdini, stavolta poco soddisfatto della mossa del premier. Ma vuole sentire anche Gianni Letta. Confalonieri. Ennio Doris. La famiglia. Vuole capire anche chi Mattarella porterebbe al suo fianco come segretario generale al Colle, ruolo chiave dal punto di vista politico e istituzionale. Insomma ha bisogno di 24 ore per sciogliere la riserva, per mettere insieme tutti i pezzi. Per dire «sì», sapendo che Renzi sta costruendo un percorso che lo porta a chiudere la partita al quarto voto anche senza di lui. O dire «no», cercando di spuntare qualcosa di più favorevole nell’ultima trattativa, oppure per salire sull’Aventino e iniziare una lunga campagna d’opposizione forte del ritrovato feeling con Alfano. Un’opzione, questa, che a molti anche dentro Fi pare spericolata. «Alla fine non conviene a nessuno rompere adesso », ammette l’ex premier. Perciò Renzi, anche nelle ultime riflessioni della sera, è convinto che prevarrà il senso di responsabilità del leader di Forza Italia. Anche perché Mattarella, ragiona il premier, è proprio quel profilo di presidente della Repubblica di cui lui e Berlusconi hanno parlato a lungo: 'alla tedesca', garante delle istituzioni ma poco interventista in politica, specie alla luce di una legge elettorale che amplifica il potere del primo ministro. La pista-Mattarella si rafforza nella notte tra martedì e mercoledì. Luca Lotti porta a Palazzo Chigi le ultime stime sui franchi tiratori. Ad ogni nome, è associato un numero. Sergio Mattarella non ha grossi ostacoli nel Pd, se non una soglia fisiologica di grandi elettori ostili a prescindere a Renzi più che al giudice costituzionale. Con Amato arrivano i numeri a tre cifre. E tutti i candidabili ex Ds hanno veti interni fortissimi. Poi lungo la mattinata si accumulano i segni. Bersani porta Mattarella nella sua personale rosa di quattro nomi. L’ex ministro della Difesa incassa il «sì» del dissidente Fassina. Pochi minuti e arriva anche quello dell’antirenziano per eccellenza Pippo Civati. Il premier ora ha un quadro ancora più chiaro. A metà pomeriggio arriva a Montecitorio per ascoltare di persona i rappresentanti di 25 ex M5S: «Su Mattarella ci siamo anche noi, su Amato no». Ci sono i margini per procedere in autonomia, se il Pd tiene. Ci sono i margini anche per lanciare un amo ai grillini dal quarto voto. Già, perché su questo pare che la strategia non sia cambiata. Il 'colpo secco', l’elezione alla prima votazione, resta un sogno e il sogno sarà inseguito sino all’ultimo minuto. Molto dipenderà da quello che Berlusconi gli dirà stamattina. Ma per ora la realtà impone di pensare alla votazione in cui basta la maggioranza assoluta. D’altra parte in questi giorni si vive minuto per minuto, e per le 24 ore appena trascorse basta e avanza lo sprint su Mattarella. «Si parte e si arriva a Sergio», è la sentenza di Guerini.