mercoledì 4 maggio 2016
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Il pressing del premier su Alfano: oggi accordo su processi veloci e prescrizione ROMA «Non mi faccio trascinare in uno scontro con la giustizia. Però non mi faccio nemmeno trascinare da chi dice del Pd tutto il male possibile. Non c’è nessuna questione morale. Si valuta caso per caso, situazione per situazione, senza gridare al complotto e senza generalizzare». La linea di Renzi è minimizzare, non mettere carne sulla brace. Ridurre il danno evitando di aprire nuovi fronti con i pm ma senza prestare il fianco alle 'lezioni di moralità' che vengono da M5S e dalle opposizioni, 'lezioni' che la sinistra dem sembra a tratti voler assecondare per la battaglia interna. Un’idea di massima sui fatti di Lodi c’è, a Palazzo Chigi. Viene dai fitti dialoghi con Lorenzo Guerini. Il vicesegretario dem non è il 'mentore' politico di Uggetti, i due vengono da storie diverse. Renzi lo sa. Ma i due, segretario e vice, insieme si fanno l’idea che il sindaco della cittadina lombarda sia incappato in una violazione di legge in qualche modo 'tipica' di chi prova, da primo cittadino, a forzare alcune procedure, alcune pratiche. Non sarebbe un 'sistema', insomma. L’inopportunità politica c’è tutta, «se ha sbagliato pagherà», dicono con il solito refrain i renziani. Però la questione morale è altra cosa. Poi, è chiaro, bisogna leggere le carte e 'aspettare le sentenze'. Il punto è se Lodi, sommata alla Campania, sommata alla Basilicata, sommata alle banche, sommata a Mafia capitale porti danni alle amministrative e, soprattutto, al referendum costituzionale. Tutte vicende diverse, ovvio. Ma queste sono valutazioni da addetti ai lavori. I cittadini vedono o sono indotti a vedere una somma di scandali. E sentono M5S che, in Parlamento a Roma come in Consiglio regionale lombardo gridano «onestà». C’è, esiste il rischio che, con questo andazzo, si arrivi alla consultazione popolare di ottobre con l’immagine dell’esecutivo appannata. Ma alzare i toni non serve ad allontanare questo rischio, anzi. Serve una risposta, e serve nel campo della giustizia. Da settimane Pd e Area popolare trattano per portare a casa la riforma della prescrizione. Ma l’accordo non arriva e la commissione Giustizia del Senato attende. Ieri Renzi ha intensificato il pressing su Alfano. Ieri sera i centristi si sono visti. Stamattina la maggioranza si incontrerà con il Guardasigilli Andrea Orlando. L’accordo arriverà, il tempo è maturo e il premier lo vuole. Ma non sarà un accordo «per l’Anm», piuttosto «per i cittadini», spiegano i senatori renziani impegnati nella trattativa. Ovvero: il punto-cardine è l’introduzione di tempi certi tra un grado di giudizio e l’altro. Posto questo pilastro, la prescrizione può cambiare. La risposta agli scandali è questa. Mentre viene respinta al mittente quella, derubricata come 'provocatoria', di M5S. In una conferenza stampa ieri uno dei leader del Movimento, Alessandro Di Battista, ha invitato il Pd a convergere su un pacchetto anticorruzione che prevede la sospensione della prescrizione dopo il rinvio a giudizio, gli agenti infiltrati nei comitati d’affari, il ritorno della soglia dei mille euro per i contanti contanti, la confisca dei beni per corrotti e corruttosi, il 'Daspo totale' per politici e imprenditori presi con le mani nella marmellata. «Ma possiamo pure ragionare sulla possibilità di interrompere la prescrizione dopo la sentenza di primo grado», aprono i pentastellati. Ma dopo il caso unioni-civili Renzi ha chiuso con M5S. Lontano dai grillini e lontano, almeno nei toni, anche dai verdiniani. In diversi, in Ala, parlano di «assalto dei pm» al governo. È una narrazione che Renzi non vuole sia associata a Palazzo Chigi. «A volte tra di loro riemerge l’imprinting berlusconiano », scherzano i fedelissimi del premier. Guai a chi parla di complotti, allora. Le amministrative non possono essere la sfida tra i 'puliti' e chi mette i paletti tra le ruote ai pm. Men che meno può avere questo tono la battaglia referendaria. Anche perché la sinistra dem, a ottobre, è pronta davvero a sfilarsi se la consultazione serve solo a incoronare Renzi: «Non mi portano sulla strada del plebiscito a due passi dal delirio – avvisa l’ex segretario Bersani –. Vorrei votare sì al referendum, non partecipare alla battaglia tra arcangeli e gufi. Non cambiamo le carte in tavola...». © RIPRODUZIONE RISERVATA Il capo del governo, Matteo Renzi, lunedì all’avvio della campagna per il Sì (Ansa)
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