Appena di ritorno dal vertice in Giappone dei leader del G7, i Grandi della Terra, Matteo Renzi si è prodotto in un vorticoso sabato in giro per l’Italia. La mattina alla Biennale di Venezia per la mostra dell’architettura, subito dopo al Porto Vecchio di Trieste, infine di nuovo sull’aereo che l’ha portato a Reggio Calabria per inaugurare il cosiddetto "Ponte sullo Stretto energetico", il nuovo elettrodotto fra Calabria e Sicilia. Inseguirlo per un’intervista in una giornata simile non è impresa agevole. Ma il presidente del Consiglio ha voglia di rituffarsi nell’agone nazionale. E ci tiene a parlare e a raccontare la sua idea di un’Italia che si dibatte tra le difficoltà croniche dell’economia e le aspirazioni a un sistema politico diverso, segnato dalle elezioni amministrative ma soprattutto dal referendum costituzionale.
Lei ha detto che nella prossima manovra occorre aiutare le famiglie. Sarà un intervento da 4-5 miliardi, come per l’Imu l’anno scorso, o un intervento strutturale?Per il momento è prematuro parlare di cifre. Noi abbiamo ridotto le tasse a tutte le famiglie italiane che hanno una casa. A chi guadagna meno di 1.500 euro con gli 80 euro. A chi vuole creare posti di lavoro con il Jobs act. A chi vuole investire al Sud con il credito di imposta. E poi alle aziende: il super-ammortamento al 140%, il costo del lavoro deducibile dall’Irap, l’Imu e l’Irap per l’agricoltura. Questi sono fatti, non promesse. Mai vista una riduzione così significativa della pressione fiscale. Ma sappiamo che le famiglie e il ceto medio soffrono ancora: dunque, nel 2017 interverremo per loro e con loro. Quanto e come lo stiamo valutando e lo decideremo a ottobre nella legge di stabilità.
Nel governo pare esserci un "fronte del bonus" che si contrappone a chi vorrebbe una misura più organica. Lei da che parte sta dato che, numeri alla mano, il carico fiscale negli ultimi anni è salito per le famiglie con figli a fronte di un suo calo generale?Il bonus bebè è un gesto di attenzione, non una misura strutturale. Giusto farlo, ma non è la risposta. La crisi demografica non si risolve con misure fiscali. Ma le misure fiscali che comunque faremo devono mettere al centro con più decisione la famiglia. Lo abbiamo detto e lo faremo. Come abbiamo mantenuto le altre promesse, dagli 80 euro fino all’Imu.
Famiglie, Irpef, Ires, pensioni, Iva: l’agenda è fitta. Chiederà altra flessibilità alla Ue o farà una cernita fra queste misure?Non potremo fare tutto, è ovvio. Ma quello che abbiamo fatto e che stiamo facendo è perché il nostro governo ha cambiato passo in Europa. Grazie alle riforme abbiamo riconquistato credibilità, come Italia. E le riforme hanno portato la flessibilità rispetto alle allucinanti regole del
Fiscal compact, che pure i governi precedenti avevano firmato. Tutto quello che abbiamo fatto e faremo in termini di stimoli fiscali si deve alla capacità di fare le riforme, dal lavoro alla legge elettorale, dalla "buona scuola" alla pubblica amministrazione.
Il governo ha vinto a Bruxelles la battaglia sulla flessibilità per il 2016, ma il debito pubblico non cala come dovrebbe. Non la ritiene una vittoria solo parziale, in assenza di un intervento più incisivo sulle regole Ue e dopo che il Fmi ha detto che l’Italia dovrà patire fino a metà degli anni 2020?I giudizi delle organizzazioni internazionali vanno letti per intero, non solo spezzettati. Il Fmi si dice anche impressionato dalle riforme italiane. Noi siamo bravi a guardare sempre il bicchiere mezzo vuoto, ed è un atteggiamento utile perché dobbiamo andare avanti sempre, cercare di fare ogni giorno meglio. Non fermarsi mai: io sono arrivato di notte dal G7 in Giappone e ieri ho corso per l’Italia, tra Venezia e Trieste, tra la Sicilia e la Calabria per mostrare gli impegni concreti del governo. Dunque: mai accontentarsi. Ma l’Italia è ripartita e ha recuperato credibilità.
Quanto la preoccupa il referendum sulla Brexit?La Brexit sarebbe una sconfitta per l’Europa, ma sarebbe un disastro per il Regno Unito. Confido nella saggezza degli inglesi, non saranno così masochisti da tagliarsi il futuro.
Serve un intervento-choc per l’economia?No. L’unica cosa che serve è recuperare la fiducia. L’Italia ha tutto per poter essere leader nei prossimi vent’anni. Abbiamo iniziato un lavoro difficile e paziente di riforme. Ma la riforma strutturale che serve è restituire fiducia ai cittadini. È una componente fondamentale dell’economia. Siamo la seconda manifattura europea, siamo il Paese con il maggior livello di risparmio pro capite, abbiamo talenti invidiati in tutto il mondo, la qualità della vita che respiriamo in Italia ci porta al primo posto nella longevità a livello europeo e al secondo posto a livello globale. Non voglio predicare ottimismo, ma richiamare alla realtà. Il mondo del futuro chiederà bellezza, capitale umano e qualità: noi le abbiamo. Certo, ci sono problemi. Ma abbiamo tutte le carte in regole per affrontarli.
Teme un rialzo della disoccupazione quando sarà svanito l’effetto-incentivi?Per mesi ci hanno detto che il Jobs act avrebbe creato più disoccupati. Adesso vediamo che non è così. Che i disoccupati calano e gli occupati aumentano: 400mila persone hanno trovato un lavoro, quasi sempre a tempo indeterminato. Crescono i mutui. Il vero problema è che dobbiamo far ripartire gli investimenti. Un esempio numerico: nel biennio 2012-2013 con i governi Monti e Letta abbiamo fatto bandi di gara per 40 miliardi di euro, 20 l’anno. Con il nostro governo siamo passati a quasi 60 miliardi, 30 l’anno. Ma la media pre-crisi era più alta. Se non ripartono gli investimenti l’economia non tira: non bisogna essere keynesiani per dirlo, basta il buon senso. Ecco perché con Delrio, Lotti, De Vincenti e tutta la squadra del Cipe siamo ossessionati dagli investimenti. Ed ecco perché con Franceschini ho presentato i 500 milioni per le periferie a Venezia e i 50 milioni per il Porto Vecchio a Trieste. Gli altri parlano, noi cerchiamo di sbloccare i cantieri.
Il Piano povertà non procede con passo spedito. Quando ci sarà il primo step?Questo è il primo piano organico sulla povertà mai fatto da un governo italiano. Ovvio che sia in ritardo, di appena 70 anni. Ma abbiamo a bordo le Fondazioni grazie al buon lavoro del presidente Guzzetti. E il sottosegretario Nannicini segue personalmente le procedure. Sono convinto che l’unico modo strutturale per combattere la povertà è creare ricchezza, non solo fare piani di contrasto. Ma intanto ci mettiamo una pezza grazie anche al lavoro delle associazioni e del Terzo settore, che non finirò mai di ringraziare.
Passiamo ai temi della politica. Non le chiediamo se è disposto a cambiare l’Italicum, ma un’altra domanda per la quale chiediamo una risposta sincera: è deluso dalla minoranza del Pd?Dopo due legislature inconcludenti finalmente si è fatta una nuova legge elettorale che ricalca il modello dei sindaci. Chi vince governa per 5 anni. Chi perde controlla e si prepara a governare. La sera delle elezioni si saprà chi ha vinto e se nessuno raggiunge il quorum c’è il ballottaggio. Nessuna grande alleanza. Perché dovremmo cambiare? Siamo passati dal potere di veto dei partiti al potere di voto dei cittadini.
La domanda era però sulla minoranza...É vero, non ho risposto. Sì, sono deluso. Inutile girarci intorno. Avevo chiesto un minimo di sforzo per le amministrative. Una tregua nella polemica. Ogni giorno invece leader anche autorevoli cannoneggiano sul quartier generale con un linguaggio che non usano nemmeno le opposizioni più dure. Mi spiace, ma non posso farci niente. Noi siamo qui per ridare speranza agli italiani dopo che per anni la palude aveva inghiottito tutto: non ci faremo fermare da chi ha già avuto la sua possibilità di cambiare l’Italia e l’ha sprecata. Non c’è stato un solo giorno senza che dalla minoranza interna non sia partito qualcuno all’attacco contro la segreteria. Ma rispondiamo con un sorriso e andiamo avanti, parlando con i cittadini, non con i gruppi dirigenti. Al congresso vedremo chi ha la maggioranza.
Non crede che connotare la vittoria del Sì al referendum di ottobre come una sua vittoria personale sia stato un messaggio sbagliato sul piano comunicativo?Grazie per la domanda. Almeno si fa chiarezza. Quella che chiamate personalizzazione, per me si chiama serietà. Giorgio Napolitano mi ha dato l’incarico per fare ciò che non era riuscito ai miei predecessori. Qui non si toccano i poteri del governo e del presidente del Consiglio. Si riduce il numero dei politici, non è giusto avere il Parlamento più costoso e numeroso della storia occidentale. Si semplificano tempi e modi per fare la legge, smettendo con questo indecoroso ping-pong che non volevano neanche i Costituenti. Si riducono i poteri delle Regioni e gli stipendi dei consiglieri regionali. Si può sempre far meglio. Ma l’alternativa è semplice: a ottobre chi vota sì, semplifica il Paese. Chi vota no, mantiene la situazione di adesso. Secondo me la maggioranza degli italiani vuole meno politici e più politica. Tanti che votano Lega, M5S, Fi non voteranno mai per me o per il Pd. Ma a questo referendum voteranno sì perché un’occasione del genere di semplificare il quadro non ricapita, non sprecheranno l’occasione. È chiaro che se vincono i no, ci teniamo un sistema confuso e ingovernabile come quello attuale. Per me la poltrona vale meno della coerenza. Per cui se perdo, me ne vado a casa. Punto.
Qual è il vero messaggio che deve arrivare al Paese sul referendum?Se vince il sì non è una mia vittoria, ma della buona politica e della stabilità. Saremo più credibili, in Italia e nel mondo. Se vince il no sarà una mia sconfitta. Fin da quando ero piccolo ho sempre mal sopportato quelli che perdono le elezioni e vanno in tv sorridenti, fingendo di averle vinte. Io non sono come loro, mi dispiace.
Veniamo al capitolo migranti. Si moltiplicano nel Mediterraneo immagini che danno i brividi. Il nostro sistema di accoglienza è al collasso?Non è al collasso. Anzi, è un modello in Europa e nel mondo. Le immagini della poliziotta che dà il biberon alla piccola Favour, la dedizione della Marina militare, della Guardia costiera, la passione dei cittadini che da Lampedusa in su si fanno in quattro per dare una mano a questi fratelli e sorelle come fa il dottor Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, mi emozionano. Chi crede non può non pensare a "Ero straniero e mi avete accolto. Avevo fame e mi avete sfamato. Avevo sete e mi avete dissetato". L’Italia è un modello nel mondo. E ci è stato riconosciuto anche al G7 in Giappone. Ma salvarli in mare senza una strategia per l’Africa non risolve. Dobbiamo davvero aiutarli a casa loro, a cominciare dagli investimenti in cooperazione internazionale.
Il punto è l’attuazione del Migration Compact?Esatto. O la fa l’Europa o dovremo farla da soli. Non c’è tempo da perdere. Ma sia chiaro: ancora oggi - dopo questa settimana terribile - i numeri degli sbarchi del 2016 sono inferiori agli sbarchi del 2015. Quindi buon senso e sangue freddo, questo è ciò che serve in questa fase. Mi colpisce che i più lucidi sul futuro dell’Europa siano stati due cittadini del mondo non europei. Mi riferisco al presidente degli Stati Uniti. E al Vescovo di Roma, che ha il passaporto argentino, ma che parlando al premio "Carlo Magno" ha dato una lezione straordinaria su cosa sia e cosa debba essere la cara Vecchia Europa.
Lei ha detto di recente «ho giurato sulla Costituzione, non sul Vangelo». La battuta aveva un incongruo "sapore" polemico: il Vangelo non è in antitesi alla Carta, tutt’altro. Vuole spiegare meglio il senso di quella frase?Le confesso che ne ho molto discusso, anche con alcuni amici sacerdoti. Alcune delle persone più vicine mi hanno criticato, magari con affetto ma criticato. È una frase però che avevo già detto da sindaco e che sento molto vera. Io faccio politica perché la considero - in una fase della mia vita e non per sempre - una scelta coerente con il mio essere credente. Nella mia esperienza di vita credo di dover servire il mio Paese così. Ma quando la faccio, agisco in modo laico. Del resto il Vangelo contiene la più bella definizione di laicità, quando Gesù dice: "Date a Cesare quel che è di Cesare". La fede è il valore più grande della mia vita. Ma quando agisco rappresentando un Paese rispondo alla Costituzione, non alla dottrina morale della Chiesa o alla gerarchia. Non lo dico in modo polemico, ma constato una realtà.
Le amministrative sono alle porte. Lei è stato attaccato da M5S perché scenderà in campo a sostegno di Giachetti. Come risponde? E teme la vittoria di Raggi?Giachetti è un ottimo candidato e fossi romano voterei per lui, senza dubbio. Ha dei valori, è una persona seria, non è una figurina che risponde ad altri: uno spirito libero e appassionato. Rispetto le idee di tutti, anche le più strampalate. Ma il debito del Comune di Roma, o gli stipendi dei dipendenti comunali, vanno pagati. E non con il baratto, mi spiego? Poi c’è da governare. E c’è bisogno di competenza e concretezza.
C’è anche un secondo nodo, l’imbarazzo che provoca l’appoggio di Verdini, specie dopo le parole di Ala sullo scrittore Saviano. È necessario il sostegno di Ala anche nelle città?In ogni città ci sono alleanze diverse. Rispondono a singole realtà territoriali. Non a caso i partiti di governo hanno candidati diversi praticamente ovunque. Io non ho nessun imbarazzo. Se a livello nazionale governiamo con altri partiti è perché nel 2013 siamo riusciti nell’impresa di perdere le elezioni politiche. Ma a livello territoriale gli accordi sono locali, non nazionali. Quanto alle parole su Saviano...
Dica.Non voglio nemmeno commentarle. Spesso ho discusso nel merito con Roberto e talvolta non condivido alcune sue opinioni. Ma è un ragazzo che da dieci anni vive recluso perché ha denunciato la camorra, non perché ama vivere circondato da carabinieri. E io non accetto discussioni su questo: Saviano e la sua scorta devono sentirsi sempre abbracciati da tutte le istituzioni. Il resto è fuffa.
Le unioni civili sono legge dello Stato. In molti, anche nel Pd, pensano che in futuro si tenterà di "completare" l’equiparazione con la famiglia tutelata dall’art. 29 della Costituzione. Pensa di proporre una moratoria in materia?Su questo tema so che abbiamo opinioni diverse. Io non credo che la legge che il Parlamento ha approvato sia una ferita alla famiglia. Riconosce diritti, ma non fa torto a nessuno. Aggiunge diritti senza toglierli ad altri. Detto questo, è evidente che si tratti di un punto di equilibrio. Se lei ascolta gli interventi dei deputati Zan e Buttiglione - che hanno votato entrambi a favore - ascolta interventi profondamente diversi nell’approccio e negli obiettivi. Ma la legge è stata votata come frutto di un equilibrio. Prima di procedere su nuovi obiettivi, adesso, applichiamo la legge che c’è. Riaprire la discussione mi sembrerebbe paradossale e soprattutto inutile.
Riguardo l’approvazione della legge sul Terzo settore, ha detto che l’avrebbe voluta «più coraggiosa». Che cosa intendeva concretamente?Su molte cose avrei gradito più coraggio. Ma ormai è andata. Ed è una buona legge che riconosce un mondo vivo e vitale, prezioso per l’Italia. Io credo che un buon compromesso sia sempre meglio di un nulla di fatto.
Per chiudere: in Senato si discute una proposta di legge che prevede fino a 9 anni di carcere per i giornalisti che dovessero essere riconosciuti colpevoli di diffamazione verso un politico o di un magistrato. Non è una proposta da bloccare?Rispetto la discussione del Parlamento. Personalmente sono sempre contrario al carcere per i reati d’opinione. E non mi convince per nulla il trattamento differenziato della diffamazione contro politici e magistrati rispetto ai cittadini comuni. Tutti siamo cittadini comuni. Francamente non capisco il voto di Pd e M5S su questo.
Vuol dire che non sono così "lineari"?Faccio io una domanda: Di Battista, Di Maio e Sibilia rinunceranno alla immunità parlamentare, qualora denunciati, o si nasconderanno dietro al loro privilegio? E la domanda la faccio io che non godo dell’immunità parlamentare. I 5 Stelle sono cittadini comuni finché fa loro comodo. Poi però quando sono denunciati, per evitare la condanna diventano casta come gli altri.