Una delle imbarcazioni usate per il contrabbando di petrolio - .
Non era un’invenzione dei giornalisti il contrabbando di petrolio sottratto dalle milizie libiche alle raffinerie di Stato, poi esportato in Europa attraverso una flotta di navi cisterna coordinate da faccendieri maltesi e infine distribuito con la logistica della mafia siciliana.
Una decina di persone sono state arrestate a Malta, nomi eccellenti noti anche agli investigatori italiani. Dovranno rispondere di svariati reati connessi al traffico di idrocarburi. Il più noto tra gli indagati è Darren Debono, già stella del calcio locale, passato dal rettangolo di gioco al ponte di comando di imprese spregiudicate.
Secondo il Dipartimento reati finanziari, l’organizzazione avrebbe movimentato un paio di petroliere e una flottiglia di motopesca le cui stive sono state adattate al trasporto di prodotti petroliferi. In almeno 22 spedizioni illecite è stato documentato il coinvolgimento di una società svizzera, la Kolmar che avrebbe versato all’organizzazione almeno 11 milioni di dollari per accaparrarsi carburante a buon mercato.
Il principale centro di approvvigionamento è la Azzawiya Oil Refinery Company. A impedire i furti di petrolio dovrebbe pensarci la divisione di Zawyah della Petroleum facility guard (Pfg).
Ma l’esercito privato incaricato di sorvegliare risponde agli ordini del clan guidato dai fratelli Koshlaf, i veri datori di lavoro di Abdurhaman al Milad, quel Bija che nel maggio del 2017 era in Italia durante quella che egli stesso ha definito «lunga trattativa» per fermare i barconi dei migranti e che fino a un mese fa, quando è stato poi arrestato, comandava la guardia costiera e il porto petrolifero di Zawyah.
Già la Direzione investigativa antimafia italiana aveva parlato di «un traffico di petrolio importato clandestinamente dalla Libia e che, grazie a una compagnia di trasporto maltese, veniva introdotto sul mercato italiano sfruttando il circuito delle cosiddette pompe bianche». Il 17 ottobre 2017, però, c’era stato l’omicidio di Daphne Caruana Galizia, la giornalista uccisa due giorni prima della retata che da Catania a Malta avrebbe confermato tutte le sue rivelazioni sui traffici illeciti tra la Libia e l’Europa via La Valletta.
Debono, dopo un periodo agli arresti domiciliari a Catania, era stato rilasciato in attesa del processo in Sicilia. Rientrato a La Valletta, probabilmente non sapeva che i nuovi vertici della polizia avevano ordinato nuove indagini su di lui.
Dopo l’inchiesta della procura etnea, Malta aveva chiesto sanzioni internazionali contro i manager del contrabbando. Ma inaspettatamente nell’agosto del 2019 la rappresentanza di Mosca all’Onu annunciò di voler porre il veto al provvedimento con cui il Consiglio di Sicurezza si apprestava a disporre il blocco, ovunque nel mondo, dei patrimoni della gang di maltesi, libici e siciliani, per «aver minacciato la pace, la stabilità e la sicurezza della Libia».
Oltre ai Debono è indagato il libico Fahmi Bin Khalifa, considerato l’ufficiale di collegamento tra i trafficanti di persone, petrolio, armi e droga dalla Libia verso l’Europa.
Anche nell’inchiesta maltese emerge come il corridoio marittimo attraverso il quale avviene il trasporto illecito è quello utilizzato per il traffico di esseri umani. Una rotta la cui sorveglianza è stata abbandonata dalle forze navali europee, a tutto vantaggio dei trafficanti che, come documentato da Avvenire, hanno avviato anche un lucroso smercio di droga. Compensando il calo degli introiti in conseguenza della riduzione dei flussi migratori.