mercoledì 10 agosto 2016
«Agli indigenti 500 milioni di risparmi della riforma. Ho sbagliato a personalizzare la consultazione». Boschi: chi è per il no non rispetta il lavoro del Parlamento, che ha votato 6 volte. Scotto (Si): «Lei dimentica i trasformismi»
Poveri e pensionati, Renzi per il referendum
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«Come dicono qui, tin bota, teniamo botta! E tutti insieme sappiamo che #bastaunsi ». Appena riemerso dalla coltre di abbracci dei militanti della Festa dell’Unità di Bosco Albergati, nel Modenese, Matteo Renzi conferma via twitter che non cederà di un millimetro. Parla dallo stesso luogo che tre anni fa aveva scelto per lanciare l’assalto alla leadership del Partito Democratico, che poi lo avrebbe portato a Palazzo Chigi. E, come è suo costume, non risparmia repliche a nessuno: né alle frecciate della minoranza dem sull’Italicum, né al fuoco di fila delle opposizioni, convinte che una vittoria dei no nel referendum d’autunno sulle riforme costituzionali determinerebbe il tramonto del suo esecutivo.

 

Ai dissidenti del suo partito, non apre alcuno spiraglio sulla richiesta di modifiche all’Italicum: «Basta con la rissa continua. Noi siamo immuni dalla sindrome Bertinotti, di chi chiede sempre di più per non ottenere nulla – avverte –. A chi vuole cambiare segretario, dico che il congresso si fa ogni 4 anni e non ogni giorno in tv. A chi dopo aver votato sì vuole fermarsi dico che noi non ci fermeremo». La querelle sulla decisione per la data (sollevata ancora da Forza Italia, M5S, Si e altri), secondo Renzi è solo mediatica («Trovatemi sulle spiagge qualcuno che pensi alla data del referendum »). Ma, rivolto ai militanti, si lascia scappare un’indicazione: «Calmi, dovete votare a novembre, non ora».

 

E, forse impensierito dai sondaggi (quelli di Ipr Marketing e del-l’Istituto Piepoli, pubblicati sul Messaggero, danno in vantaggio il no, 52% a 48), il premier mette sul tavolo fiches 'pesanti' per provare a ribaltare la situazione: «Se il referendum passa – annuncia –, pensate come sarebbe bello mettere i 500 milioni di euro risparmiati dai costi della politica sul fondo per la povertà e darli ai nostri concittadini che non ce la fanno ». Promesse di peso pure sul fronte pensioni: «C’è uno scalino troppo grosso e le pensioni minime sono troppo basse. Dovremo trovare risorse in più per le pensioni». 

 

 Ancora, per sottrarre argomenti alle frecce del fronte trasversale antirenziano, il premier prova a sfilarsi di dosso il bersaglio grosso: «An- che io ho sbagliato a dare messaggi – ammette –. Questo non è il mio referendum, perché la riforma ha un padre, Giorgio Napolitano. Ho fatto un errore a personalizzare troppo». Oltre a Napolitano, il premier evoca altri 'padri nobili' critici su alcuni aspetti della Carta: «Non ci fu solo Dossetti», sostiene Renzi, «in molti dissero che il bicameralismo era stato un errore». In suo soccorso, il capo del governo chiama pure il presidente uscente degli Usa: «Obama, quando gli ho detto che abbiamo 945 parlamentari, mi ha detto che loro ne hanno 500. Non è immaginabile avere così tanti parlamentari e il sistema politico più pagato al mondo».

 

Dai vertici del Pd, uno stop alle richieste di modifiche alla legge elettorale arriva pure dal ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi: «Bisogna rispettare il lavoro fatto dal Parlamento, che ha votato sei volte, con maggioranze vicine al 60%». Affermazioni che hanno fatto irritare le opposizioni: «Dimentica i regolamenti forzati, le sedute fiume e i trasformismi vari #memoriacorta », twitta il capogruppo alla Camera di Si, Arturo Scotto. E il leghista Roberto Calderoli attacca: «Quel Parlamento il cui lavoro non verrebbe rispettato, avrebbe dovuto essere sciolto nel 2013 perché votato con una legge elettorale poi dichiarata incostituzionale». Tornando al rebus della data, dopo la convalida in Cassazione delle 580mila firme raccolte dal Pd, le opzioni probabili restano quelle del 20 o del 27 novembre. La vede così il viceministro dell’Economia, Enrico Morando: si voterà il 20 o il 27, sostiene, quando la prima lettura della legge di Stabilità «sarà a buon punto o, ancora meglio, terminata».

 

Nel Pd, il capogruppo alla Camera Ettore Rosato nega che ci siano pressioni su una di quelle date da parte del Quirinale. Ma proprio al presidente Sergio Mattarella rivolge un accorato appello Roberto Fico, deputato e componente del direttorio di M5S: «Auspichiamo che il capo dello Stato eserciti le sue prerogative fino in fondo e impedisca al premier di rallentare la procedura di individuazione della data», afferma, sostenendo che è «dovere del presidente preservare il voto referendario da tentativi d’inquinamento politico e di favorire la partecipazione massima, difficilmente raggiungibile se avverrà a ridosso dell’inverno».

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