giovedì 16 agosto 2012
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È il giorno della "Rozinca", la festa dei fiori, in questa piccola chiesa del più piccolo Comune delle Valli del Natisone, sulle montagne al confine tra l’Italia e la Slovenia. È il giorno in cui si portano all’altare, per essere benedetti, piccoli fasci di erbe medicinali: finocchi, malva, assenzio; serviranno per decotti, o verranno bruciati per allontanare le tempeste. Un rito dalla tradizione orientale, secondo cui nel sepolcro vuoto di Maria Santissima furono trovati il suo velo e fiori. Sono almeno 80mila gli Sloveni che vivono a ridosso del confine, dal Carso triestino, anzi dal mare di Muggia, fino alle altitudini di Tarvisio, a poche centinaia di metri dall’Austria, distribuiti in tre province, Trieste, appunto (6 Comuni), Gorizia (8) e Udine (18).La comunità delle Valli del Natisone ha una sua specifica identità, con sette Comuni e San Pietro al Natisone/Spietar, come capoluogo. La minoranza è riconosciuta, con tanto di normative di tutela e promozione, da Roma e da Trieste, capitale della Regione che fonda la sua specialità anche sulla presenza della minoranza slovena. Lubiana sostiene gli sloveni e li considera (nonché aiuta) come preziosi ambasciatori in Italia.Davvero buio, da queste parti, il periodo della dittatura fascista, che soppresse ogni iniziativa; proprio per la Rozinca proibì l’uso della lingua slovena nelle chiese. Ma dal 1945 la comunità si è progressivamente riscattata, trovando nelle leggi nazionali 482 del 1999, 38 del 2001 e regionale 26 del 2007 punti non solo di difesa, ma anche di rilancio. Nelle Valli c’è una scuola statale bilingue, sloveno-italiano, ci sono giornali in lingua, come il Dom di area cattolica. Non mancano perfino attività di supporto economico e sociale. Quelle più innovative riguardano la cultura.Gli sloveni del Natisone ricordano con fierezza l’autonomia goduta sotto il Patriarcato di Aquileia e la Repubblica di Venezia. L’avvocato Carlo Podrecca così sintetizzava gli oltre mille anni di storia della Slavia friulana: «Dai documenti emerge che il Popolo della Slavia aveva saputo crearsi, fin dalle origini, un governo proprio, democratico e parlamentare, che deliberava nei suoi Arrenghi intorno a tutti gli interessi amministrativi, economici, politici e giudiziari della Regione. E fino all’ultimo diede saggio di forte organamento, di sapienza civile, e che é degno di figurare nella storia gloriosa dei Comuni italiani». Terre attraversate dall’emigrazione e ancor oggi dallo spopolamento.Emblematico è il caso di Drenchia: dai 1.562 abitanti del 1921 e dai 1.392 del 1951 è precipitata ai 130 di oggi. Una vera catastrofe demografica.Le Valli del Natisone hanno sempre trovato nella Chiesa e specificatamente nei parroci le loro più efficaci sentinelle. «Questo loro lavoro, come ebbe a dire l’allora arcivescovo Alfredo Battisti - ricorda il giornalista Giorgio Banchig, una vita dedicata alla sua gente e al giornale Dom -  è stato messo in difficoltà da politiche poco lungimiranti. I sacerdoti hanno spesso sofferto perché il loro attaccamento alla lingua e alla cultura slovena è stato erroneamente accusato di poco amore verso l’Italia, la propria patria: sloveni ma italiani». In occasione della sua prima visita pastorale, Battisti ebbe ancora a dire: «Il Signore ha mandato me come vescovo a difendere e promuovere la fede. La fede, però, si incarna e si esprime in una lingua, in una cultura, la cultura di questo popolo. Venendo nelle vostre comunità io difendo il diritto naturale di ogni singolo paese: chi sceglie la lingua slovena, ha il diritto naturale di esprimerla nella liturgia e nel canto e lo stesso diritto intendo difendere nelle comunità che scelgono la lingua italiana».Da allora la Chiesa diocesana di Udine non ha mai fatto mancare il suo sostegno, confermato non più tardi del 15 luglio scorso quando l’attuale arcivescovo, Andrea Bruno Mazzocato, è stato in visita a Drenchia. «Venendo qui da Udine ho avuto la percezione di avere dinanzi un’altra realtà. A Udine, nelle commissioni pastorali, si vedono le cose in teoria e spesso perfino in astratto, perché molti dei consiglieri non sono mai stati in queste zone. Anche per me si è trattato di una diversa verità, perché i luoghi, le distanze, rendono le cose più vere e ricche, senza nascondere le difficoltà collegate».«Se dal punto di vista topografico le difficoltà sono ben evidenti, non possiamo dimenticare la storia religiosa di queste comunità e la perseveranza attuale nella fede», ricorda il teologo Marino Qualizza, che ogni domenica si reca a celebrare in quel di Drenchia, frutto di una fedeltà a quanto ricevuto in una educazione e formazione cristiane che non accennano, per fortuna, a invecchiare. Ma sempre nuovi problemi incombono sul futuro di queste minoranze. I sindaci sono al lavoro per la redazione degli statuti delle nuove Unioni dei comuni montani del Natisone, del Torre e del Canal del Ferro-Valcanale, che entro la fine dell’anno dovrebbero sostituire le soppresse Comunità montane. A essi i comitati provinciali della Confederazione delle organizzazioni slovene (Sso) e Unione culturale economica slovena (Skgz), riconosciute dalla Regione come rappresentanti della minoranza slovena, hanno rivolto un appello affinché gli statuti siano scritti in forma bilingue, venga evidenziata la presenza della comunità slovena e si scriva la toponomastica anche in sloveno. Sso e Skgz chiedono che la denominazione ufficiale dei nuovi enti faccia riferimento ai nomi storici del territorio (ad esempio, Slavia/Beneija) e venga espressa in forma bilingue.
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