Un reparto di terapia intensiva durante la pandemia da Covid-19 - IMAGOECONOMICA
Lavori in corso sul nuovo Piano pandemico, ma sarà un documento «per la prima volta aggiornato, puntuale e che si attiene scrupolosamente a criteri tecnico-scientifici e direttive internazionali». E si sta procedendo anche al calcolo delle risorse che saranno necessarie.
Si possono sintetizzare così le risposte del ministro della Salute, Orazio Schillaci, al question time di giovedì 25 gennaio al Senato su alcuni aspetti della bozza – già circolata – del nuovo Piano pandemico 2024-28, e subito oggetto di critiche.
Sul lato risorse, il coordinatore della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni, Raffaele Donini, chiede al ministero che nel 2024 si mantengano i 300 milioni già previsti l’anno scorso (salvo successivi conguagli) «per garantire la continuità delle attività già avviate con il precedente Piano »; che la realizzazione dei piani pandemici regionali sia finanziata con «fondi aggiuntivi» e che il rafforzamento degli organici «non sia vincolato al rispetto dei tetti di spesa per il personale».
Sul piano politico, in Senato, Elisa Pirro (M5s) chiedeva «quali siano le differenze del nuovo piano 2024-2028 rispetto alle misure adottate dai precedenti Governi durante la pandemia», mentre Claudio Borghi (Lega) domandava di procedere a una revisione della bozza già circolata perché il Piano si ponesse «in discontinuità rispetto a quanto previsto dal Piano 2021-2023».
Il ministro ha confermato che il Piano pandemico è ancora a livello di bozza «in continua evoluzione » e che è «in discussione presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano». Ha però anche difeso il documento, sottolineando che è il frutto di un gruppo di lavoro molto ampio e di una lunga ed elaborata discussione, ma aperto anche al recepimento di integrazioni.
Rispetto al passato, Schillaci ha sottolineato che, a differenza di PanFlu (il Piano pandemico 2021-23), che riguardava solo una possibile pandemia di virus influenzali A e B, il nuovo documento vuole dare una risposta «a pandemie da eventuali patogeni a trasmissione respiratoria sia virali che batteriche». Inoltre «rappresenta uno strumento di pianificazione per la fase interpandemica», vale a dire «una strategia preventiva, per mobilitare le risorse necessarie in proporzione a una eventuale emergenza».
E per marcare la distanza dai precedenti, il ministro ha detto che il Piano «per la prima volta, delinea un potenziamento di servizi indispensabili, quali: i Dipartimenti di prevenzione, l’emergenza- urgenza, la ricerca, la rete dei laboratori di virologia e microbiologia oltre a una integrazione ospedale-territorio».
Quanto alle limitazioni, Schillaci ha detto che il Piano «rispetta le libertà della popolazione fornendo linee guida flessibili e invocando misure restrittive solo come ultima risorsa». Misure che «dovranno essere emanate solo se strettamente indispensabili, rimanere eventualmente in vigore per il tempo strettamente necessario ed essere proporzionate sia alla probabilità sia all’entità dell’evento».
Infine sulle risorse il ministro ha detto che si sta «procedendo alla quantificazione economica relativa al dettaglio dei costi derivanti dall’implementazione degli interventi descritti e all’illustrazione dei criteri di calcolo per la determinazione dell’importo stimato». Riguardo ai tetti di spesa sul personale «stiamo lavorando – ha concluso Schillaci – al graduale sblocco e superamento degli stessi. È evidente che in caso di pandemia, al fine di garantire la sicurezza e l’assistenza alla popolazione, i tetti verranno riparametrati».
L'ex direttore della Prevenzione del ministero, Donato Greco: passo avanti rispetto al passato
«Il nuovo Piano pandemico mi pare un passo avanti rispetto a quello del 2021-23. Tiene conto di alcune novità organizzative e tecnologiche emerse con l’esperienza pandemica, mantiene una linea di comando chiara e nello stesso tempo prevede forme di restrizione proporzionali alle circostanze e non generalizzate».
Dopo una lunga carriera di epidemiologo presso l’Istituto superiore di sanità, Donato Greco è stato direttore generale della Prevenzione al ministero della Salute fino al 2006, ma ha continuato a collaborare con le istituzioni, facendo parte del secondo Comitato tecnico-scientifico (governo Draghi), ma non ha avuto parte nella stesura di questa bozza di Piano pandemico che verrà discusso dalla Conferenza Stato-Regioni. «Chiaramente il Piano nazionale andrà declinato operativamente nei 21 Piani regionali. E si dovrà prevedere un adeguato finanziamento».
Come valuta la bozza del nuovo Piano pandemico nazionale?
Mi pare importante notare che non solo non è la fotocopia del precedente (a cui avevo collaborato) ma assorbe finalmente il concetto che il Piano non è un libro ma un “tessuto vivente”, che prevede alcune azioni da realizzare subito, e altre a seconda delle fasi di una eventuale epidemia. In base all’autonomia regionale è un piano di indirizzo, e si dovrà coniugare in 21 piani operativi di ciascuna Regione (piani di contingenza), in cui dovranno essere indicate le componenti operative vere e proprie: indirizzi fisici, persone responsabili, scorte di farmaci, vaccini e altri dispositivi, le unità di crisi, come e dove aumentare i posti letto in rianimazione, eccetera. In più il nuovo Piano è stato redatto non da una singola commissione di esperti, ma con la collaborazione di tutte le istituzioni sanitarie interessate, e dai tecnici delle Regioni e Province autonome.
Dal punto di vista operativo, quali sono le novità più importanti?
Le differenze con il Piano precedente sono tante. Si valorizza la sorveglianza genomica istituita durante la pandemia di Covid-19, ora pienamente operativa. Così come la rete di laboratori umani e veterinari di microbiologia che si scambiano dati nella sorveglianza degli agenti patogeni, o la rete Dispatch ( epiDemic Intelligence, Scenari Pandemici, vAluTazione risCHio) che sorveglia l’eventuale insorgenza di nuclei di patologie sindromiche atipiche rispetto all’atteso. Importante è anche il nuovo Sistema dinamico di acquisizione (Sda), che prevede l’acquisto di presidi (dispositivi di protezione individuale, mascherine, guanti, camici) in maniera centralizzata e rapida, senza gare europee. Apprezzo il coinvolgimento della rete dei presidi della sanità militare (Drive through difesa, Dtd) nel supportare la risposta alla pandemia. Innovativo è anche l’affidamento al Biotecnopolo di Siena della produzione rapida dei vaccini necessari.
Le Regioni hanno obiettato che mancano le risorse: come si potranno attuare le azioni richieste?
Nel Piano da un lato si richiama l’utilizzo di capitoli di bilancio già esistenti nel Fondo sanitario nazionale; dall’altro si rimanda ai piani regionali per la definizione del fabbisogno necessario. Alla fine le Regioni chiederanno un finanziamento extra rispetto al Fondo sanitario nazionale. È una discussione che è avvenuta per qualsiasi piano l’Italia abbia fatto, dai vaccini ad altre azioni sanitarie, e riguarda la politica: il dibattito in Conferenza Stato- Regioni affronterà anche questo aspetto. La costruzione di questo piano è già avvenuta con il coinvolgimento degli esperti regionali, però con un ruolo tecnico, ora vedremo cosa dirà la componente politica. È logico che senza un finanziamento adeguato nessun piano può funzionare.
Che cosa comporta l’inclusione nella sorveglianza di altri patogeni respiratori?
Nel piano si trovano tabelle con tutti i potenziali patogeni che possono diventare epidemici o pandemici, secondo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e riviste anche dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc). I virus purtroppo fanno sorprese. Anche il vaiolo, eradicato 35 anni fa, gira in forme diverse negli animali: si è parlato negli scorsi mesi del vaiolo delle scimmie e potrebbe virare verso una forma adattata all’uomo. Anche dalla poliomielite non siamo del tutto protetti, per una mutazione, diffusa soprattutto in Africa, proveniente dal virus vaccinico di Sabin. Per questo è importante, ed è indicata nel nuovo Piano, la sorveglianza genomica istituita durante la pandemia da Covid-19 e ora pienamente operativa.
Trovano più spazio questioni etiche e giuridiche che hanno fatto tanto discutere. Le soluzioni sono adeguate?
Nel Piano non ci sono forzature dell’ordinamento giuridico nazionale, non sono previsti poteri speciali, ma quelli esistenti nella Costituzione e nelle leggi. Compresi i Dpcm e le ordinanze del ministero della Salute, perché in una emergenza pandemica non si possono attendere i tempi di un dibattito parlamentare. L’Italia non è nuova alle emergenze, e ha approvato numerose leggi, in primis quella sulla Protezione civile, dotata di poteri di emergenza. Però nel Piano non ci sono misure obbligate, o lockdown automatici come quello del marzo 2020, ma ipotesi di misure suggerite secondo necessità, che andrebbero concordate con la controparte regionale. In più le misure di contenimento sono di tipo scalare e progressivo: possono inasprirsi o allentarsi a seconda della situazione epidemiologica. Si possono considerare, ma non si impongono, alcune chiusure mirate, di scuole e luoghi di lavoro o di aggregazione, ma non è prevista una chiusura totale.
L'ex responsabile del Centro epidemiologia dell'Iss, Stefania Salmaso: ci sono criticità da risolvere a livello centrale
«Credo che un Piano strategico operativo dovrebbe sciogliere nodi di sistema, che invece questa bozza non affronta. E, come hanno osservato anche le Regioni, non può prescindere da stanziare risorse adeguate».
L’epidemiologa Stefania Salmaso, che ha diretto fino al 2015 il Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps) all’Istituto superiore di sanità (Iss) è perplessa per alcune carenze che individua nel documento di aggiornamento del Piano pandemico influenzale 2021-23: «Quel piano fu scritto in corsa durante la pandemia di Covid- 19, e le criticità emerse in questi anni andrebbero risolte a livello centrale, prima di chiedere alle Regioni di dotarsi di strumenti operativi. Ma il Piano non lo fa».
Dopo la pandemia, la bozza del Piano pandemico si occupa di altri agenti patogeni, non solo l’influenza. Funzionerà?
Sono un po’ perplessa dal titolo di “Piano strategico operativo” perché sembrerebbe indicare una visione ampia con la predisposizione di azioni per raggiungere un obiettivo comune, cioè il controllo delle malattie che hanno un potenziale epidemico. Ma non si affrontano in modo pragmatico alcuni nodi della sanità pubblica, già presenti, e che si acuiscono durante un’emergenza. E che sono trasversali a tanti settori. Inoltre, ed è stato subito segnalato dalle Regioni, si deve prevedere un finanziamento adeguato: a una sanità che è già in affanno nell’ordinario, non si possono non dare risorse aggiuntive per un evento pandemico.
Quali sono le maggiori criticità?
Durante la risposta al Covid-19 abbiamo incontrato una serie di problemi. Da un lato la mancanza di capacità di interagire tra sistemi informativi sia all’interno del Servizio sanitario, sia con altri enti pubblici: del primo è esempio il fatto che non fossero già disponibili a tutti i dati sulle dotazioni necessarie, come i posti letto in terapia intensiva (è stata fatta una ricognizione apposita) e anche le Regioni che hanno detto di poterli incrementare, non hanno però chiarito come, dato che non è stato aumentato però il personale dedicato. Del secondo la mancata comunicazione alle Aziende sanitarie locali (Asl) dei dati delle anagrafi, dove vengono registrati i decessi, ma anche la possibilità di verificare la composizione dei nuclei abitativi per le attività di quarantena dei conviventi. A questo si aggiunge la difficoltà a superare gli ostacoli sulla confidenzialità dei dati, che hanno reso difficile anche il tracciamento dei contatti. Quindi lungi dall’essere strategico, il Piano ha un orizzonte molto settoriale.
Ma non dovrà essere declinato dalle singole Regioni?
Il Piano nazionale dovrebbe fornire i principi ispiratori e gli obiettivi a lungo termine da condividere, e le Regioni poi devono realizzare i loro piani per metterli in atto. Non viene specificato come sarà valutata la rispondenza di ogni singolo piano regionale agli obiettivi e senza risorse da allocare l’esercizio potrebbe essere solo formale. Il Piano nazionale ha il pregio di aver fatto il punto sulla letteratura e le raccomandazioni nazionali e internazionali, ma non indica standard a cui le Regioni dovrebbero uniformarsi per lavorare di concerto, né vengono chiariti gli accordi che permettano alla sanità di intervenire in altri ambiti, non a gestione regionale: per esempio si raccomanda l’attenzione alle persone in carcere, ma certamente la prassi e la responsabilità delle Asl è differente in questi contesti specifici. Ma lo stesso si potrebbe dire della scuola, dove non è stato possibile istituire un sistema di sorveglianza sulle infezioni per avere informazioni sui rischi di trasmissione in ambito scolastico. E nella recente pandemia le Regioni si sono organizzate in modo differenziato, rendendo difficile la lettura e il confronto dei dati.
La lezione della pandemia non viene messa a frutto, dunque?
La risposta alla pandemia è stata talmente emergenziale, che sono stati elaborati indicatori solo per decidere quale Regione poteva uscire dal lockdown, ma non indicatori di efficacia e di efficienza a lungo termine: quindi non sappiamo che cosa ha funzionato e che cosa no. La pandemia è stato un classico esempio di “sindemia”, e ha mostrato che chi è affetto da malattie croniche è a maggior rischio di complicanze. Ma si continua a ragionare in modo settorializzato con la lotta alle malattie croniche da una parte e la lotta alle infezioni dall’altra. Non è possibile, per esempio, citare solo il piano vaccinazioni come risposta mirata, e non immaginare che ci vuole un’attività continua per la riduzione delle malattie croniche.
Nel periodo interpandemico viene indicato di dedicarsi proprio alla preparazione: è adeguata?
Le competenze di indagine epidemiologica devono essere acquisite e mantenute, utilizzate nella quotidianità, altrimenti nel momento della pandemia non è possibile organizzarle. Tutto questo fa parte di un approccio sistemico, in cui bisognerebbe fare squadra. Infine un Piano pandemico che parla di come prepararsi e ridurre l’impatto di una futura pandemia dovrebbe affrontare anche il problema di come ridurre la frequenza dei fattori di rischio che ne amplificano l’effetto. Nel Piano si parla di sanità territoriale, e si citano le Case della salute, che si sono già rivelate di difficile realizzazione. Ma la sanità territoriale è conoscenza della popolazione degli assistiti, per fare in modo che la loro salute sia migliore prima che debbano ricorrere al medico. È soprattutto prevenzione, che purtroppo spesso non viene riconosciuta e non fa notizia.