sabato 22 ottobre 2022
La prima donna a capo di un governo è una svolta e una sfida: ecco cosa significa per la parità di genere e che cosa deve imparare la politica da adesso in avanti
La neopremier Giorgia Meloni accanto a Silvio Berlusconi, all'uscita delle consultazioni da Mattarella

La neopremier Giorgia Meloni accanto a Silvio Berlusconi, all'uscita delle consultazioni da Mattarella

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È un momento plasticamente epocale, quello in cui Giorgia Meloni si sistema tra i suoi colleghi della maggioranza e di governo davanti ai microfoni del Quirinale, poco dopo l'incontro della mattina con Mattarella. Alla sua destra il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, alla sinistra quello della Lega, Matteo Salvini. Le gestualità impacciate, nervose, tradiscono i sorrisi dei due leader (maschi), già piuttosto tirati a dire il vero: è lei (donna) la protagonista. È lei la premier (la prima, donna, nella storia del nostro Paese), non per meriti acquisiti attraverso gentili concessioni, o più o meno velate raccomandazioni, o dimostrazioni di fedeltà e devozione, dinamiche a cui la politica ci ha tristemente abituato negli anni quando si è trattato di misurare il peso delle donne nei partiti e nei governi.

Certo, qualcuno proverà anche in questo caso a dire che no, vale anche per Giorgia Meloni, che anche lei è arrivata dove è arrivata perché qualcuno - sottinteso: un uomo, o più uomini - gliel'ha concesso. In molti lo pensano, è evidente, persino tra i suoi colleghi di governo che tanto hanno scalpitato negli ultimi giorni per imporle le proprie volontà. Come se un primato, per una donna, dovesse sempre scontare un “di meno”, o un “dovuto”, come se la leadership femminile fosse frutto di un’emanazione, mai davvero legittima, mai piena (e se rivendicata come tale, “arrogante” naturalmente). È il gender-gap bellezza!, verrebbe da dire: lo scarto incolmabile, lo sforzo in più che tocca sempre alle donne per affermarsi, la disparità presente a ogni livello della società che la politica vorrebbe (e dovrebbe) combattere e che invece per prima, proprio la politica, perpetra.

Stavolta è tutta un'altra storia. Giorgia Meloni - indipendentemente dal giudizio sulla sua appartenenza politica, le sue idee, i suoi programmi, finanche il modello femminile che incarna - sta davanti a quei microfoni, poco dopo riceverà l'incarico e subito formerà il nuovo governo, perché è stata votata dalla maggioranza relativa degli elettori. Una premier donna legittimata dalle urne, con consenso largo e indiscutibile. Occorre prenderne definitivamente atto, a cominciare dai signori tutti della politica. Oppure - l'occasione è straordinaria - occorre di qui in avanti capire (anche le signore) che le cose possono cambiare, che questa svolta può accompagnarne una culturale più profonda e necessaria: siamo alla pari. Stessa dignità, stessi diritti, stesse opportunità. Una donna ora ha quella di guidare il Paese. Alcune donne - troppo poche a dire il vero - hanno quella di guidare ministeri. In altri campi, le donne possono arrivare a ricoprire qualsiasi ruolo di responsabilità a cui aspirassero.

Di questo cambiamento Giorgia Meloni può essere artefice, oltre che simbolo: è una delle sfide che l'accompagneranno nei prossimi mesi, e che in quanto donna prima di tutto è chiamata a raccogliere. Prima inter pares, finalmente. Finché non farà più notizia che il presidente del Consiglio sia un uomo o una donna, in un Paese che abbia fatto della parità e della valorizzazione delle differenze qualcosa di normale, perfino scontato.
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