Papa Paolo VI con Aldo Moro (Ansa)
Gianni Gennari, giornalista e teologo, sacerdote ai tempi del sequestro Moro - poi, nell’aprile del 1984, ha ottenuto la dispensa da Giovanni Paolo II e si è sposato con rito religioso - è un testimone di prima grandezza del ruolo svolto dalla Chiesa per tentare di salvare la vita ad Aldo Moro. Consigliere spirituale, in quei giorni drammatici, del segretario della Dc Benigno Zaccagnini; molto vicino a monsignor Pasquale Macchi, segretario di Montini, e al cappellano di San Vittore e ispettore generale delle carceri, monsignor Cesare Curioni, Gennari conferma che fu anche messa a disposizione del Pontefice una cifra considerevole («dai 10 ai 15 miliardi ») da far arrivare ai brigatisti come riscatto. «Avevo conosciuto Moro, sulle Dolomiti, perché talvolta da Bellamonte, sopra Predazzo, veniva a Messa da me con la famiglia, il sabato sera. Poi, la sera dopo il sequestro mi chiamò la cognata di Zaccagnini, Ettorina Brigante, per dirmi che Benigno aveva bisogno di un sostegno spirituale. L’ho visto pensare, soffrire, piangere e pregare. Per me ricorda Gennari - ha cominciato a morire da quel giorno». Un po’ come il Papa, che vedrà la fine dei suoi giorni, 3 mesi dopo Moro, a Castelgandolfo.
Ma nell’ultima lettera alla moglie Moro disse: «Il Papa ha fatto pochino: forse ne avrà scrupolo».
Non è giusto dire che appoggiò la linea della fermezza: Paolo VI si mise subito in moto per tentare di salvarlo e fece tutto quanto nelle sue possibilità, nella legalità. Senza arrivare a un riconoscimento delle Br, che fra l’altro non spettava a lui.
Ma si rivolse agli «uomini delle Brigate Rosse» per scongiurarli «in ginocchio» di liberarlo.
Credo che Moro non abbia mai conosciuto il tenore di quella lettera. Inoltre il 16 aprile su
Civiltà Cattolica
comparve un appello perché si facesse tutto il possibile per liberare Moro. Erano pronti, nella disponibilità di monsignor Macchi, fra i 10 e i 15 miliardi, ne fui messo a conoscenza, così come mi fu detto che proprio il 9 maggio, giorno dell’uccisione, era pronta la liberazione della brigatista Paola Besuschio.
E il «senza condizioni» che si sostiene sia stato 'suggerito' al Papa dal mondo politico?
A me risulta fosse presente già nella prima stesura della lettera. Alla Commissione Moro ho precisato che, a differenza di quanto avevo sostenuto, monsignor Curioni non era presente alla stesura del testo. Paolo VI lo raggiunse in vacanza, sotto Pasqua, nella notte, per leggergliela al telefono. Quell’appello del Papa diede molta speranza a Zaccagnini. Ma Moro, sono convinto, fu rapito per essere eliminato. Non a caso il segretario americano Henry Kissinger gli aveva chiesto, in un brusco incontro di pochi mesi prima, di ritirarsi dalla vita politica.
Anche lei considera non casuale che l’infiltrazione di Silvano Girotto (soprannominato 'frate Mitra') avesse portato nel 1974 all’arresto di Curcio e Franceschini e non di Mario Moretti?
L’8 settembre i carabinieri del generale Dalla Chiesa arrestarono i due leader delle Br che avevano appuntamento con Moretti. Il quale non si presentò, e ora dice di non ricordarne la ragione. Era stato Moretti ad accogliere questo ex frate guerrigliero, ed è questa la data centrale di tutta la vicenda Moro. Quell’arresto cambiò la sorte degli eventi: se non fosse arrivato a Moretti un avviso a non presentarsi a quell’appuntamento lui non avrebbe preso in mano le Br e i fatti avrebbero preso una piega diversa.
Si è molto discusso anche del ruolo di don Antonio Mennini, sacerdote molto amico di Moro che lo avrebbe confessato durante la prigionia.
Lui forse ha svolto, in qualche modo, un ruolo di intermediario, ma non credo lo abbia mai confessato. Lui lo nega, e non avrebbe motivo per non ammetterlo: il segreto confessionale qui non c’entra.
Da Paolo VI, ai funerali, una sorta di atto d’accusa al Signore: «Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico...».
Anche Gesù sulla Croce disse «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato». Ma quell’invocazione-preghiera si conclude dicendo «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito». E anche Paolo VI concluse: «Ma tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla Fede...».