Distribuzione del pane a Catania - Collaboratori
Da luglio a settembre “Avvenire” ha compiuto un lungo viaggio nella «pandemia sociale»: l’inchiesta ha raccontato l’emergenza economica causata dal coronavirus. Città per città, territorio per territorio, il nostro impegno ci ha portato a fotografare un’Italia piegata dal Covid-19. Famiglie in difficoltà, imprese a rischio usura, vecchi e nuovi poveri aggrappati alla solidarietà dello Stato e delle molte associazioni cattoliche in prima linea.
Cosa chiede il popolo invisibile
Con il Covid-19, sono esplose le grandi contraddizioni del nostro Paese. Chi era povero, lo è diventato ancora di più. Chi si barcamenava in cerca di una vita dignitosa, ha rischiato di sprofondare. Si è ristretto il ceto medio, la vecchia borghesia, e la forbice delle disuguaglianze si è allargata a dismisura. Contemporaneamente, però, è venuta alla luce in modo inaspettato, eppure naturale, una miniera nascosta di solidarietà, che ha tenuto in piedi il Paese. Il viaggio di Avvenire nella «pandemia sociale», espressione coniata da papa Francesco in piena emergenza coronavirus, ci ha permesso di incontrare una volta di più il popolo degli invisibili. Che innanzitutto hanno fame e che sognano un tetto sicuro. Cibo e casa sono state le priorità assolute di questi sei mesi. Lo saranno ancora, ma già adesso si intravede il fantasma con cui dovremo convivere in autunno: il lavoro che non c’è più.
Da Torino a Palermo
Il popolo che bussa alle porte della nostra coscienza è quello che si è presentato, con grande dignità, agli sportelli dei Comuni e alle mense della Caritas per ottenere un buono spesa o chiedere un pasto. Due mesi fa, cominciando la nostra inchiesta, siamo partiti da Roma per raccontare problemi e drammi della Capitale. Le tappe successive hanno toccato l’Italia da Nord a Sud. Siamo così arrivati a Catania (leggi sotto). Sempre alle prese con i nodi irrisolti delle comunità dimenticate.
Pensiamo agli anziani e a chi si prende cura di loro: che fine hanno fatto? L’altra faccia della "pandemia sociale" è quella dei disoccupati e dei cassintegrati. Il periodo post-Covid per tanti è infatti diventato una prova di sopravvivenza, in una immaginaria filiera del disagio che accomuna chi ha perso tutto a chi è finito nella tenaglia del ricatto: sono le storie delle vittime di usura che abbiamo raccontato, l’incubo "zero euro" per gli operai finiti nelle vertenze interminabili delle multinazionali, la paura per una ripresa sempre più lontana per chi lavora nel terziario.
Cosa ci aspetta
Siamo arrivati così al racconto dell’oggi e di quel che ci attende. Secondo i dati diffusi a fine luglio da Censis e Confcooperative, l’epidemia ha già messo in ginocchio più di due milioni di famiglie e quel che abbiamo davanti fa già tremare le vene ai polsi. Prendiamo due Regioni diversissime come Piemonte e Sicilia. Nel primo caso la cassa integrazione in deroga ha già riguardato 92mila persone (per oltre 22 milioni di ore lavorate) nel secondo è l’allarme lanciato dai sindacati regionali a pesare. «La pandemia ha determinato l’aggravamento della precarietà sociale, con pesanti ricadute su famiglie e imprese: a rischio sono 150mila posti» affermano le rappresentanze dei lavoratori. Intanto, proprio ieri, una nota congiunta di Istat, ministero del Lavoro, Inps, Inail e Anpal ha certificato che una vittima certa della nuova crisi è la cosiddetta gig economy: i contratti più deboli, quelli di breve e brevissima durata, che nel pre-pandemia avevano conosciuto un’accelerazione adesso non ci sono più. Tra aprile e giugno si contano oltre un milione di rapporti di lavoro a termine in meno rispetto all’anno prima. (Diego Motta)
A Catania si fa il giro del pane
Sono 500 al giorno i pasti caldi preparati all’Help Center della Caritas diocesana di Catania per aiutare quanti faticano a nutrirsi. E a beneficiarne sono soprattutto italiani, dal 60 all’80% degli assistiti, in particolare senza dimora e famiglie numerose.
Il numero dei pasti risulta in crescita rispetto agli ultimi mesi, una tendenza che deriva dalla pressante crisi occupazionale, soprattutto per quanti operavano nel vasto mondo dell’economia sommersa. «Da metà aprile in poi – afferma Salvo Pappalardo, responsabile delle attività dell’organismo diocesano – la richiesta è cresciuta; prima c’erano un po’ di paura e di vergogna a chiedere un pasto, ma ora cominciamo a vedere, assieme a coloro che si rivolgevano a noi anche prima dell’emergenza, tante famiglie travolte dalle conseguenze della crisi».
Nel periodo del Covid-19, inoltre, l’organismo diocesano ha donato ad altri enti e associazioni della città circa 800 kg di pasta, 1.757 prodotti per colazione, 415 chili di pane, più di un migliaio di uova e colombe pasquali, 770 litri di latte e altre 3 tonnellate di latticini, 400 scatolette di tonno e quasi 300 litri di olio d’oliva e di semi.
Un impegno che può essere soddisfatto soltanto tramite una solidarietà condivisa e diffusa. Il percorso quotidiano comincia col "giro del pane" del mattino compiuto dai volontari che si recano in oltre trenta panifici della città e di Comuni limitrofi. Il pane donato viene portato all’Help Center della Stazione centrale, dove si preparano, assieme ai pasti caldi, oltre 400 panini al giorno.
Giovanni Mangano, referente delle mense, si occupa del servizio: «C’è grande disponibilità e si aggiungono di continuo nuovi donatori che ci permettono di aiutare un numero sempre crescente di bisognosi. Di solito il pane ci serve per preparare dei panini che poi gli avventori consumano sul momento o comunque in giornata, ma in alcuni casi, soprattutto da parte delle famiglie numerose, ci vengono richieste delle quantità maggiori da portare a casa. Altri preferiscono prendere qualche panino in più perché non riescono a venire quotidianamente, infatti non tutti i nostri assistiti sono catanesi, alcuni arrivano da paesi vicini oppure dalla periferia della città».
All’impegno dei volontari dunque si associa la generosità quotidiana dei panificatori, come Antonio Scalisi: «Svolgere questo servizio ci rende orgogliosi. Pensiamo all’importanza di donare, di essere vicini a quella gente che ha tante difficoltà economiche, sicuramente accentuate dalla pandemia. Vogliamo aiutare con i fatti una realtà in prima linea nel supporto agli ultimi, e non soltanto con le mense». Infatti le attività della Caritas catanese riguardano più ambiti, tra cui fornire un tetto a chi è senza casa come primo passo di un progetto di accoglienza per donne vittime di violenza con figli minori. Promosso dalla Conferenza episcopale siciliana, si chiama "Housing First" ed è attivo in un immobile confiscato alla criminalità organizzata.
Yemenz e la sua famiglia, composta da 4 figli di cui tre minorenni e una appena diciottenne, sono gli attuali ospiti dell’appartamento; stanno vivendo un tentativo di ripristino della normalità dopo anni complicati, divisi dal mare e dalla guerra. Lei, di origine eritrea, è scappata dal suo Paese circa un decennio fa, dopo aver perso il marito in un incidente stradale in Sudan e aver lasciato, per necessità e sicurezza, le tre figlie in patria. Poi il percorso alla ricerca della speranza, le violenze, l’arrivo in Italia e la nascita del quarto bambino; oggi è riuscita a ricongiungersi con le sue tre figlie a Catania.
Nel periodo del lockdown, i volontari hanno continuato ad assistere la famiglia consegnando beni alimentari di prima necessità e fornendo l’aiuto necessario in termini di supporto medico e materiale informatico per la didattica a distanza. «Per noi è stato un tempo difficile e strano – racconta Yemenz – soprattutto per i più piccoli. Abbiamo avuto tanta paura e continuiamo ad averne, anche per i nostri cari che vivono in Eritrea e non sempre è facile avere informazioni su di loro. Qui, almeno, abbiamo avuto la fortuna di essere assieme, e la forza della nostra famiglia ci ha permesso di fare fronte comune grazie anche ai volontari».
L’obiettivo del progetto è quello di rendere questa famiglia autonoma e parte attiva della vita cittadina, un processo rallentato nei mesi scorsi, ma comunque mai fermo: «Noi continuiamo a impegnarci – assicura Yemenz – poiché sappiamo che questa casa potrà servire in futuro ad altre famiglie. Stiamo lavorando per renderci autonomi, dai piccoli che vanno alla primaria fino alle più grandi che stanno studiando duramente per imparare la lingua; io ho seguito un corso come pasticciera e adesso, dopo la riapertura, svolgo un tirocinio in un’attività produttiva». (Marco Pappalardo)
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