Palazzo Moroni, sede del Comune di Padova (Ansa)
Padova ha 210 mila abitanti e come altre città venete soffre una rilevante crisi demografica: nel 2016 a fronte di 2.600 decessi ci sono stati 1.547 nati. Il saldo migratorio è positivo, ma non abbastanza da compensare il saldo naturale, tanto che in 5 anni sono stati persi 3mila abitanti. Gli aspiranti sindaco, tutti uomini, che si sfidano per conquistare Palazzo Moroni nelle elezioni anticipate dell’11 giugno sono 7. Un numero in linea con quello delle precedenti amministrative del 2014, quando invece i candidati furono otto. Massimo Bitonci, 52 anni, sindaco in carica dal giugno 2014 a novembre 2016, in questa tornata elettorale è sostenuto da Lega Nord, Forza Italia, Fratelli d’Italia più alcune liste civiche. I sondaggi di parte gli attribuiscono un’area di consenso intorno al 40%. Il suo avversario più diretto è Sergio Giordani, 64 anni, appoggiato da Partito Democratico, Alternativa Popolare e da varie liste civiche. In questa area sono confluiti anche i fuoriusciti da Forza Italia. Altri candidati in corsa sono: Arturo Lorenzoni, 50 anni, con due liste civiche; Simone Borile, del Movimento 5 Stelle; Luigi Sposato con la Lista civica Osa, Popolo della famiglia; Maurizio Meridi, di Casa Pound; Rocco Bordin, Lista civica "La Padova Libera".
All’ombra delle cupole della Basilica del Santo, i padovani si preparano alla processione del 13 giugno in onore di Antonio, il patrono cittadino che si invoca anche per ritrovare gli oggetti smarriti. E l’«oggetto smarrito» più ambito in queste settimane è lo scranno da sindaco, che un giro di giostra lo scorso novembre ha sottratto dopo due anni e mezzo a Massimo Bitonci.
Il leghista-rugbista di Cittadella (fede salviniana), già senatore, presidente della Liga Veneta, sfiduciato da un manipolo di (ex) alleati di Forza Italia, scommette di riprendersi la poltrona bypassando i parenti serpenti e recuperando tutto il resto del centro-destra. La «congiura di palazzo» ha esaltato la sfida. I frondisti, tra cui l’ex assessore alla Sicurezza Maurizio Saia, l’uomo con cui Bitonci si era alleato per «ripulire» la città, sono saliti su un altro carro, ed è quello che lo marca più stretto in questa corsa a Palazzo Moroni, sede del Comune.
È il carro allestito dal Pd, che ha puntato tutto su Sergio Giordani, 64 anni, imprenditore, ex presidente del Calcio Padova e dell’Interporto, sostenuto da 6 liste. Lui si presenta come candidato civico, l’uomo della moderazione «in una città devastata dall’odio seminato da Bitonci».
Però comunque l’apparato Pd è con lui (Giordani è il «compagnone» dell’ex sindaco rosso ed ex ministro Flavio Zanonato, «un massone e il ventriloquo del Pd», ricambia soavemente l’avversario leghista), fianco a fianco con i frondisti di novembre e altri «pentiti» di Forza Italia, come l’ex sindaca Giustina Destro. Sulla campagna elettorale di Giordani è piombato anche un grave attacco ischemico il 4 maggio che lo ha tenuto in ospedale per 8 giorni.
Il terzo incomodo in questa disfida patavina non sono i 5 Stelle dell’opaco Simone Borile, bensì il brillante Arturo Lorenzoni, 50enne professore universitario di Economia dell’Energia, impegnato nel volontariato, spuntato a sinistra in contrapposizione al Pd, che in prima battuta aveva rifiutato le comunarie. Vestite di arancione-Pisapia, le due liste civiche che lo sostengono fanno il pieno da una parte della sinistra più massimalista, dall’altra di una intellighenzia cittadina tutt’altro che estremista, che sembra essersi risvegliata dal sonno.
Avvocati e presidi, giornalisti e studenti universitari; c’è la dottoressa dei Medici per l’Africa-Cuamm Giulia Segafredo, la «grande nonna» dello scautismo cittadino Ticia Pavan Della Torre, la figlia della prima vittima delle Brigate Rosse, Silvia Giralucci. Il Corriere Venetolo ha soprannominato «il Melenchon padovano» e come il candidato (sconfitto) all’Eliseo, Lorenzoni tenta di far sognare i concittadini con programmi di ampio respiro: energie alternative, fotovoltaico, orti urbani, mobilità integrata, consultazione permanente con gli universitari sulle politiche giovanili, presidi sociali, accoglienza diffusa, il nuovo polo ospedaliero da costruire sul vecchio anziché nell’area ad est della città indicata dalla giunta leghista, punti poi ripresi in quasi tutte le liste del centro sinistra. I sostenitori di Lorenzoni si appellano al «voto utile» già al primo turno e stanno sfidando fino all’ultima energia i sondaggi di parte e l’inerzia degli indecisi.
Il mondo cattolico «di base» in questa tornata sembra aver vinto la sua ritrosia ed è sceso in campo in modo trasversale, tanto nelle civiche che nei partiti. «Molte persone, impegnate in maniera esplicita in mondi ecclesiali e associativi, del volontariato solidale e della parrocchie, hanno riversato il loro impegno per la città, riempiendo uno spazio lasciato vuoto dalla classe politica più stagionata. In ogni lista possiamo riconoscere qualche nome... », spiega Luigi Gui, sociologo con cattedra a Trieste e direttore della Scuola di formazione sociopolitica della diocesi. «E c’è anche un dato generazionale: mai come questa volta è vistosa la presenza di under 35 in quasi tutte le liste», nota Gui. Un impegno generoso anche perché poco finalizzato all’elezione personale, data la frantumazione delle liste, soprattutto a sinistra. Mondi tornati alla ribalta, che al secondo turno devono trovare il modo di convergere per non disperdere un’esperienza intensa e inedita per Padova.
Quanto agli scenari, i giochi, al netto di sorprese, sembrano fatti... almeno l’11 giugno. Bitonci è uomo di grande fiuto politico: sa raccogliere il consenso e finora sembra aver intercettato una certa voglia di rassicurazione dei padovani. Nei due anni e mezzo alla guida della città aveva mostrato invece spesso una ruvidezza e una tendenza ad accentrare che alla fine gli si sono ritorte contro. Epici i suoi scontri con l’allora prefetta Patrizia Impresa sull’accoglienza dei migranti all’ex caserma Prandina e la sua campagna contro le cooperative sociali che ospitano piccoli nuclei in appartamenti. Se nella prima parte della corsa elettorale Bitonci non ha calcato la mano, negli ultimi giorni la «tolleranza zero» e i «clandestini» sono tornati ad animare i suoi comizi, l’ultimo dei quali pronunciato proprio davanti a uno stabile destinato ad accogliere migranti. E l’ha promesso: se ritorna sindaco, sul palco del vincitore ci sale con il cappello da sceriffo in testa.