Mai come questa volta le capitali osservano ansiosamente le elezioni europee: il risultato peserà come non mai sulla scelta del nuovo presidente della Commissione Europea. Sono infatti le prime dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che chiede ai capi di Stato e di governo di «tener conto» dei risultati. Non c’è alcun automatismo, ma il Parlamento Europeo ha scaltramente – commenta un alto diplomatico Ue – «forzato la mano», spingendo alla nomina di «candidati di punta» da parte dei capi di governo aderenti alle varie famiglie politiche. I nomi sono noti: l’attuale presidente dell’Europarlamento Martino Schulz per il Pse, l’ex premier lussemburghese ed ex presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker per i Popolari (con il sostegno del cancelliere Angela Merkel), l’ex premier belga Guy Verhofstadt per i liberali, Ska Keller e José Bové per i Verdi e il greco Alexis Tsipras per la Sinistra Unitaria. Fin dall’inizio il presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy ha storto il naso. «Si è creata una dinamica che complica le cose» lamenta un diplomatico Ue. In effetti, checché dicano i candidati, secondo il Trattato sono i leader a dover indicare un nome a maggioranza qualificata, «tenendo conto» delle elezioni, il Parlamento dovrà poi avallarlo o respingerlo a maggioranza assoluta. Oltretutto, spiegano fonti Ue, «al di là dei Trattati, la prassi vuole che si cerchi un nome che riscuota il massimo consenso». Non a caso i governi parlano di «candidati di punta» e non «candidati presidenti», anche se i diretti interessati si presentano così. Un primo giro di orizzonti ci sarà martedì a una cena dei leader a Bruxelles, anche se Van Rompuy avverte: «Troppo presto per i nomi». Si punta al summit di fine giugno.A Bruxelles gira una voce insistente che alla fine né Juncker né Schulz diverranno presidente della Commissione. Si sente fare spesso il nome di due donne, il direttore del Fmi Christine Lagarde, e quello della premier danese Helle Thorning-Schmidt. Del resto, il premier britannico David Cameron è contrarissimo sia a Juncker, sia a Schulz, considerati troppo «federalisti». Possibile che il Consiglio Europeo approvi a colpi di maggioranza un nome inviso a un grande Stato membro? «Cameron deve stare attento - commenta però un diplomatico Ue – se si mette troppo di traverso poi potrebbe pagarla in termini di portafoglio per il futuro commissario britannico». Una cosa è certa: decisiva è Merkel, rimasta sempre molto prudente, ripetendo che «i trattati sono chiari» e che «non ci sono automatismi, spetta al Consiglio Europeo proporre un nome». Mai ha affermato che Juncker debba essere presidente, e si sa che ci tiene a tenere a bordo Cameron, che vedrà a inizio giugno in Svezia insieme ai premier di Stoccolma e L’Aja, Fredrik Reinfeldt e Mark Rutte.Molto dipenderà dal margine di distacco del gruppo politico giunto primo. «Se ci fosse un vantaggio netto per il Ppe, non sarebbe facile fermare Juncker» commenta un diplomatico. Se invece ci sarà un vantaggio di pochi seggi, come sembra ora in base ai sondaggi, le cose si complicheranno. Certo è che nessuno dei due grandi gruppi – Ppe e Pse – può fare a meno dell’altro per avere una maggioranza in Parlamento, il che imporrà un compromesso al momento difficilissimo da immaginare.