Quattro casi di omicidio colposo. E per ogni morto ci saranno almeno quattro indagati. Per 13 delle 17 vittime del terremoto è stata autorizzata la sepoltura: gli inquirenti hanno accertato che i decessi sono stati causati dalla fatalità. Per gli altri, tre operai e un ingegnere, non si esclude la responsabilità dei titolari delle aziende, delle imprese costruttrici, di progettisti, direttori dei lavori, collaudatori e certificatori. Già la prossima settimana verranno recapitati i primi avvisi di garanzia e partiranno gli interrogatori della procura di Modena.Quello emiliano è anche un terremoto di campagna. Il silenzio della Pianura riferisce dell’irreale desolazione della Bassa. Chi può lavora alla chetichella, violando lo stop imposto dalle autorità. «Lorsignori parlano facile – si lamenta un allevatore – e intanto che aspetto i controlli, le mie duecento vacche dove le metto? Le faccio abbronzare la fuori? Le faccio sgranchire tra le macerie? Ma quei professoroni lì non lo sanno mica cos’è un allevamento». I capanni degli attrezzi sono franati sugli aratri, fracassando ogni arnese. La stalla sembra aver retto. Poco dopo il tornante che precede le cascine di Medolla, dietro a un argine che pare sgretolato dalle braccia di mille forzuti, c’è un’altra fattoria. Anzi c’era. Il fienile s’è aperto come un quaderno di carta velina. Le pesanti balle di foraggio impilate una all’altra sono precipitate al suolo come torri di cartone, rotolando per metri fino a imbucarsi in una roggia.La malasorte non ha ancora avuto la meglio sulla speranza. A Mirandola il supermercato dichiarato inagibile si è spostato sul piazzale: al centro un improvvisato bancone e intorno i carrelli della spesa: «Solo articoli di prima necessità», si legge nell’avviso che annuncia lo sconto del 20% su tutto. Nel raggio di diversi chilometri non c’è altro minimarket aperto. I clienti anno la faccia di chi non chiude occhio da due settimane. Chiedono acqua, farina, latte, biscotti, zucchero, pannolini. «Vengono soprattutto quanti in queste notti dormono in tenda o in macchina davanti casa», spiega Antonio Dall’Aglio, uno dei titolari. Anche l’unica banca ha riaperto, ma in un camper. Il direttore della filiale Fabrizio Vellani, ha trasferito la sua famiglia in camper, e la casa a quattro ruote è diventata anche sportello bancario. «Abito a Carpi – racconta – e il mio appartamento sarebbe agibile. Ho visto crollare i palazzi, non so quando mi tornerà il coraggio di passare la notte in casa».La buona volontà, da sola non basta. «Servono capitali ma serve anche il cuore, per far sì che il tempo di ripresa – è l’appello del presidente della Confindustria di Modena, Pietro Ferrari –sia il minore possibile, perché il tempo è una funzione importante per non perdere i mercati». In altre parole, «il governo non deve dare, ma deve fare un investimento su una terra che produce». C’è il biomedicale e ci sono le fornaci delle ceramiche. Ma i campi sono la carta d’identità di una regione «che produce il 17% della frutta italiana e potrebbe perdere il 10% del prodotto», paventa la Confederazione italiana agricoltori. A rischio paralisi c’è l’intera filiera. Nei territori colpiti dal sisma sta terminando la raccolta delle fragole, mentre si è nel pieno della stagione delle ciliegie e ci si prepara a quella di albicocche, pesche e nettarine.La distruzione, tuttavia, non è stata uniforme. Non si vedono interi abitati rasi al suolo. È come se un gigante maldestro avesse schiacciato a casaccio cose e persone. Da una parte edifici sventrati, scoperchiati come da un apriscatole, palazzi di tre piani ridotti a polverosi ruderi di un metro. Dall’altra, case intatte e senza neanche un graffio neanche sull’intonaco. Della piccola sartoria di Cavezzo non resta che qualche scampolo sgualcito. Intatta l’agenzia di viaggi della porta accanto. Non fosse per il tappeto di Swarosky riversati in terra nessuno penserebbe che anche l’ampio negozio di Giuseppe Greco sia stato preso a spallate dal mostro che ancora singhiozza al ritmo di cento sussulti al giorno. Lui entra per rimettere in ordine e salvare il salvabile. È come sfidare un fantasma. Appena il tempo di rialzare uno scaffale, che arriva un’altra scossa. E poi un’altra ancora. Giuseppe fa un ghigno. Guarda verso il basso come a minacciare gli inferi: «Riaprirò, altroché se riaprirò».