Si vive un’attesa snervante nelle stanze del Tesoro. Mercoledì l’Istat darà la stima preliminare su com’è andata l’economia italiana nel secondo trimestre dell’anno, dopo il non esaltante meno 0,1% registrato da gennaio a marzo. E già si sa che non saranno buone notizie per il governo Renzi. Enrico Morando lo riconosce senza nessuna esitazione: «Non c’è dubbio che le cose vanno peggio di come le avevamo previste». Non è però il momento di abbandonarsi al pessimismo, ragiona il vice-ministro dell’Economia: il quadro è sì difficile, ma «non sono in vista» manovre correttive. Di più: non serve «la frenesia di misure eccezionali». Occorre solo - e sarebbe già tanto - continuare a fare quello che il nuovo governo ha messo in cantiere. A partire dal punto centrale della revisione della spesa pubblica (con i 17 miliardi da trovare per il 2015 che dovrebbero salire poi a 32 miliardi nel 2016), dove il commissario Carlo Cottarelli «deve proseguire, perché ha fatto un lavoro straordinario». E dal bonus degli 80 euro che va confermato per il 2015 e in prospettiva va esteso «innanzitutto ai lavoratori dipendenti totalmente incapienti».
L’ha detto anche Renzi: le cose non vanno come speravate.Se guardiamo i fondamentali dell’economia, assieme a segnali confortanti registriamo certo delle ragioni di preoccupazione. Malgrado noi avessimo rivisto al ribasso le previsioni di crescita per il 2014 dall’1,1 allo 0,8%, confortati in questo da tutte le principali istituzioni economiche, dal Fondo monetario all’Ocse, la realtà ci dice invece che questo livello nel 2014 non ci sarà. Entreremo nel 2015 con un ritmo di crescita più basso e questo si ripercuoterà sul resto dell’anno.<+NEROA>Cosa ne dobbiamo dedurre?<+TONDOA>L’esigenza di accelerare il ritmo delle riforme. Tutte, a partire da quelle istituzionali, che sono anch’esse fondamentali per l’economia. Il cuore della riforma è già stato votato dal Senato, abbiamo retto la prova anche per l’enorme senso di responsabilità dei senatori. Ma dobbiamo ancora accelerare. Servono anche la rapida trasformazione delle linee-guida presentate dal governo per la riforma della giustizia, specie quella civile. E poi l’attuazione delle deleghe fiscali. E ancora la necessità di accelerare sul piano per il lavoro.
Ma con dati peggiori delle attese serviranno nuove misure?Guai a farci prendere dalla frenesia di ricorrere a misure eccezionali o straordinarie. Dobbiamo solo decidere di fare più rapidamente e con maggior efficacia quello che avevamo già previsto di fare. Il programma deciso è giusto, l’orizzonte temporale dei mille giorni anche. Ora però si tratta di prendere le decisioni immediatamente, altrimenti quei tre anni non saranno sufficienti per vedere concretamente il cambiamento dei fondamentali del Paese.
Insomma, non c’è un’altra manovra in arrivo?Non ci sarà nessuna manovra correttiva per il 2014. Perché la situazione non la rende necessaria e perché il Patto di stabilità e di crescita, così come aggiornato di recente, è più flessibile di un tempo. Grazie al
Fiscal compact e al
Six pack abbiamo obiettivi che devono essere conseguiti al netto del ciclo economico, quindi se l’economia peggiora scattano dei margini di flessibilità. Insomma, manovre correttive andrebbero fatte solo se il mancato rispetto delle previsioni fosse dovuto al fatto che non abbiamo realizzato le riforme che ci siamo impegnati a portare avanti.
E nel 2015?Sarà un anno molto impegnativo. Nella prossima sessione di bilancio bisognerà riprogettare il futuro della politica economica e fiscale dei prossimi tre anni, tenendo conto di questo andamento più negativo dell’economia. E gli obiettivi da noi fissati per l’operazione che chiamiamo "revisione della spesa" devono essere progressivamente incorporati nelle leggi di bilancio. Abbiamo detto che nel 2015 devono venire risparmi tra i 15 e i 17 miliardi di euro di risparmi e nel 2016 tra 30 e 32 miliardi, ma a oggi questi numeri in larga misura non sono ancora nel bilancio. Le cifre fissate per i tagli alla spesa sono molto ambiziose, ma realistiche. Sono cifre enormi, che implicano enormi cambiamenti nei comportamenti delle amministrazioni pubbliche. Ma non si può pretendere che tutto derivi dal cambiamento delle leggi. Una parte grande deve venire dal cambiamento dei comportamenti.
Quanto saranno forti le resistenze?Sono già forti. Nessuna strategia riformista coerente può essere realizzata senza incontrare resistenze. Se non ci fossero, vorrebbe dire che il cambiamento non è reale. Ma la novità è che nel frattempo in Italia è già cambiato molto. La società vuole una politica che cambi il Paese, che faccia, che realizzi. Gli italiani non considerano più il cambiamento un azzardo, anzi lo incoraggiano.
E se l’obiettivo di 32 miliardi di tagli per il 2016 non fosse centrato?Non creeremmo le condizioni per fare le due operazioni che sono cruciali per il rilancio del Paese: ridurre la pressione fiscale sui produttori e ridare competitività - e quindi posti di lavoro - al Paese. In Italia la pressione fiscale totale è alta, quella sul lavoro e sulle imprese è terribile. Senza
spending review saremmo costretti a considerare non realistico l’obiettivo di eliminare quel surplus di 30-35 miliardi di euro di pressione fiscale rispetto alla media europea. Ma è realistico farlo entro il 2018, entro questa legislatura.
La vicenda Cottarelli pesa?È evidente che i tagli alla spesa non possono dipendere da una persona. Detto questo, io che mi occupo per il governo dell’operazione revisione della spesa considero che il lavoro fatto da Bondi e che ora sta facendo Cottarelli è svolto con straordinaria competenza ed efficacia. È assolutamente essenziale che possa proseguire. Mi auguro di poter continuare a basarmi sull’attività di Cottarelli. La revisione della spesa è cruciale sia in termini quantitativi, sia qualitativi: va realizzata anche per rendere molto più efficace la Pubblica amministrazione. Vuol dire risparmi, ma anche miglior funzionamento degli uffici. E quindi sburocratizzare, semplificare, insomma una P.a. più amica dello sviluppo.
Cos’altro va fatto?L’altra grande operazione strategica è realizzare nei fatti quello che è già scritto nelle leggi: l’ultima Legge di stabilità dice che ogni anno va definito un obiettivo di recupero di gettito con la lotta all’evasione fiscale, da destinare a un Fondo ad hoc per ridurre la pressione fiscale sul lavoro e sull’impresa e, così, per liberare risorse per l’istruzione e la ricerca. Perché bisogna capire che l’economia di domani, ma anche di oggi è fondata sulla qualità del capitale umano: bisogna investire, quindi, sui cervelli dei nostri figli. Questa operazione deve passare da progettata a realizzata. Anche se per il 2015 non è realistico che si possa recuperare un punto di Pil, tra i 12 e 16 miliardi. Ma non basta. C’è bisogno di fare, come direbbe Schumpeter (economista austriaco del XX secolo,
ndr), un’opera di "distruzione creatrice": sempre più ci saranno imprese che non ce la fanno e imprese che si rafforzano. È un processo che non avrà conseguenze sociali devastanti solo a una condizione: i lavoratori delle imprese che non ce la fanno vanno assistiti sotto il profilo del reddito e della loro riqualificazione, per trovare un nuovo posto di lavoro. Ci vuole un sistema universale di ammortizzatori sociali, ma per questo ci vogliono molti più soldi di quelli che si spendono ora.
Lei alza l’asticella, ma intanto Renzi frena sull’estensione del bonus. È così?Renzi è un serio governante. Il problema c’è, l’allargamento è una cosa cui dobbiamo puntare. Noi ci siamo impegnati e manterremo la promessa per rendere permanente il bonus riconosciuto per il 2014. Renzi è stato molto responsabile, ragionando sui vincoli di bilancio.
Ma l’estensione ci sarà?Siamo determinati a renderla possibile a cominciare dai lavoratori totalmente incapienti. Si deve partire da qui, ma è chiaro che Renzi doveva dire quello che ha detto, cioè che per ora si può garantire solo la conferma strutturale degli 80 euro già erogati, perché se noi vogliamo che vengano spesi e non risparmiati noi dobbiamo innanzitutto assicurare tassativamente che ci saranno anche nel 2015. Renzi non ha voluto diffondere pessimismo, ma essere serio. Occorre fare il passo lungo come la gamba.
E l’Europa?Deve cambiare il segno della politica economica europea. L’apertura di Juncker verso un
new deal europeo fatto di investimenti massicci deve tradursi rapidamente in realtà. Altrimenti le difficoltà di trovare strade solo nazionali diventeranno insormontabili. E penso che venga sottovalutato il fatto che gli elettori per la prima volta hanno potuto votare i candidati alla presidenza della Commissione: sono certo che questo responsabilizza di più la Commissione, prima il presidente rispondeva solo ai governi, ora deve anche rendere conto al popolo.
Il governo parla di mille giorni, ma i sondaggi dicono che un italiano su due è per il voto anticipato.È un orientamento ancora influenzato dalla sensazione di blocco che c’era. Non abbiamo bisogno di votare, ma di cambiare. Bisognerà fare in mille giorni quello che non abbiamo fatto negli ultimi venti anni, ma sarà possibile perché nel Paese c’è aria nuova.