sabato 29 marzo 2025
A Monteleone di Puglia, vicino a Foggia, il sindaco ha spinto per l'integrazione degli stranieri. Ora 150 dei 900 abitanti sono immigrati che studiano, lavorano e rigenerano il paese
I minori non accompagnati partecipano alle feste e alle attività sociali della comunità

I minori non accompagnati partecipano alle feste e alle attività sociali della comunità

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«La cosa più difficile è stata imparare a montare il latte per il cappuccino. Ci sono riuscito? Giudichi lei», dice Sabaly, mentre sistema la tazza sul bancone. La schiuma, morbida ma compatta, oltrepassa il bordo senza fuoriuscire. «Italiano doc. Quasi come me», scherza. Il barista del caffè principale di questa località incastonata sui monti Dauni è un 18enne senegalese. L’operatore dell’ufficio tecnico municipale è afghano. Lo stagista della ditta di costruzioni è maliano. E gli addetti al verde pubblico sono di Senegal e Burkina Faso. Benvenuti a Monteleone di Puglia, nel Foggiano, il “paese dell’accoglienza”, come si legge sulla enorme bandiera arcobaleno appesa sulla facciata del Comune. Su poco più di novecento abitanti, circa centocinquanta sono migranti distribuiti in otto centri diffusi aperti nell’arco di un decennio tra il borgo e i limitrofi Anzano, Savignano, Accadia, Sant’Agata e Deliceto. Famiglie e, soprattutto, minori non accompagnati protagonisti della rinascita di questo frammento di Irpinia prima in agonia.
«Sa qual è l’indicatore più efficace della svolta? Dopo un lungo inverno demografico, da qualche anno, i bambini hanno ripreso a nascere. E non parlo degli stranieri ma delle famiglie locali. Entro dicembre ne avremo sei», racconta il sindaco Giovanni Campese. Classe 1954, infermiere in pensione, è stato lui ad avere l’intuizione, nel 2016, di puntare sull’accoglienza per rivitalizzare il tessuto sociale ed economico della cittadina. «L’idea è nata da un’esperienza concreta. Un giorno mia moglie, storica volontaria della Caritas, mi ha chiesto di accompagnarla a Tre Titoli, vicino a Cerignola, per distribuire dei farmaci agli stagionali stranieri. Vedere le condizioni in cui vivono mi ha scosso nel profondo. Dormivano in fattorie abbandonati, senza servizi igienici, acqua corrente, luce. Manodopera da sfruttare per pochi spiccioli nelle aziende agricole della zona. Mi sono detto: “Devi fare qualcosa”. E ho agito di conseguenza. Ero stato eletto l’anno prima con una lista civica: ho partecipato a un bando del ministero dell’Interno e, così, sono arrivate i primi venticinque stranieri adulti».
L’anno successivo si sono aggiunti i ragazzi. Il moltiplicarsi delle crisi, dall’Afghanistan all’Ucraina, ha aumentato il numero dei profughi che hanno trovato ospitalità a Monteleone e dintorni. «Nel frattempo abbiamo compreso che non era sufficiente ospitarli – dice il primo cittadino -. Dovevamo integrarli, attraverso l’alfabetizzazione, lo studio e soprattutto l’inserimento lavorativo. Per questo, abbiamo avviato i tirocini formativi dal 2018».
Il pomeriggio, dopo la scuola, Adama, sta imparando il mestiere di muratore in una ditta di costruzioni. «Mi piace. E poi c’è richiesta», dice in perfetto italiano il ragazzo, partito dalla maliana Kita nel 2022. Ci ha messo un anno prima di raggiungere l’“acqua”, come chiama il viaggio a bordo di una carretta del mare dalle coste della Tunisia a Catania, dove l’ha portato la guardia costiera dopo essere rimasto per tre giorni alla deriva. Adama, che compirà 18 anni fra tre mesi, è uno dei 16 ospiti di “Orsa maggiore”, il centro per minori non accompagnati a ridosso della piazza del Comune, dove un monumento di omaggio ai caduti della Grande guerra è stato realizzato con i soldi venuti dall’America. Cioè dalle migliaia di montelonesi partiti per Usa e Canda tra Ottocento e Novecento in cerca di futuro. Gente come Yassin, 17 anni, egiziano, arrivato qualche settimana fa dopo essere rimasto in Libia per sette mesi. Di quell’esperienza parla poco: «È stato difficile ma ad altri è andata peggio. Per salire sulla barca ho dovuto pagare 2.500 euro. Le onde erano molto alte, non so come abbiamo fatto ad arrivare. Ora, però, andrà bene». «Anche sono stato in acqua io è finita la benzina. Eravamo tantissimi. Per fortuna dopo tre giorni è passato un altro gruppo di migranti e ci ha aiutato – dice Fakouly, 16enne senegalese, da un anno al centro –. Nella vita ho avuto due grandi fortune: essere soccorso in mare e venire a Monteleone. Perché? Qui le persone ti trattano con rispetto. E poi ci sono i tirocini».
Almeno una decina dei giovani del centro li sta svolgendo al momento o li ha già terminati. «L’idea è farli fare a tutti dopo il corso di alfabetizzazione, secondo un programma personalizzato. Ormai le aziende ci conoscono, si fidano e il tiricinio rapprenta una grande opportunità per tutti. Sono loro a cercarci affinché mandiamo i ragazzi. In dieci anni, una quarantina ha trovato un impiego alla fine», racconta Leonardo Campese che dirige Orsa Maggiore. Ad affiancarlo un’équipe multidisciplinare di 15 operatori. Solo una frazione dei novanta abitanti della zona occupati nell’impresa sociale dell’accoglienza, come la definisce il primo cittadino. Oltre un terzo sono diplomati o laureati che hanno potuto tornare in paese grazie alle nuove opportunità economiche. «Il modello-Monteleone dimostra che l’accoglienza non è un peso per chi la attua bensì un guadagno – conclude il sindaco Campese -. Ed è perfettamente replicabile nelle aree interne. Il nostro sogno è che ci siano tante Monteleone in giro per l’Italia. Nel frattempo abbiamo in cantiere altre iniziative. La prossima è la creazione del primo museo nazionale per la pace e la nonviolenza. Dove altro poteva sorgere se non nel paese dell’accoglienza?».

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