"Gli stava a cuore che le scelte annunciate trovassero effettiva attuazione e, quindi, nel tempo e con le modalità che consentissero di realizzarle davvero, con la maturazione necessaria per consolidare il consenso intorno ad esse. Rifuggiva, proprio per questa ragione, da annunci fine a se stessi, da gesti plateali che avrebbero sfiorato la realtà, senza riuscire a incidervi”. Così
Sergio Mattarella ricordando
Aldo Moro al
Quirinale, stamattina, nella ricorrenza dei
cento anni dalla nascita.
L’uomo dal periodare involuto, che avrebbe fatto fatica a comprimere, oggi, in un tweet il suo pensiero. Eppure capace come nessun altro nella storia repubblicana di incidere in concreto sul piano interno come su quello internazionale. Così è stato ricordato, Moro, dagli storici
Beppe Vacca, direttore dell’Istituto Gramsci, e
Renato Moro, docente a “Roma tre” e nipote dello statista. Il quale ha ricostruito nel suo intervento due bellissimi quadretti che fotografano al tempo stesso l’
uomo e lo
statista.
Quello che all’una di notte, la notte precedente al rapimento – giorno della votazione per la fiducia al
governo Andreotti – invece di fare i conti col pallottoliere, come si farebbe oggi e forse già si faceva allora, fu sorpreso dal figlio Giovanni a leggere “
Il Dio crocefisso”, celebre testo del teologo protestante
Jürgen Moltmann. O che nel terrazzo della sua casa di Terracina, in vacanza, si immergeva nella lettura di una pila di giornali “alta che gli arrivavano fin alle ginocchia, nel tentativo di cogliere in profondità non tanto le manovre della politica ma la vita del Paese”, ha ricordato Renato Moro.
Sarebbe però sbagliato, ha ammonito
Mattarella citando
Pietro Scoppola, “pretendere di attualizzarlo correndo il rischio di deformarlo e travisarlo”. Ma come non cogliere un riferimento anche all’oggi quando il capo dello Stato segnala quel rischio degli annunci fatti ancor prima di aver fatto la fatica di trovare i necessari consensi per portare a termine una proposta. E come non cogliere un monito attuale anche nel Moro descritto dal capo dello Stato come politico “della mediazione ben diversa dal compromesso al ribasso”.
Protagonista in Europa, in grado di influenzarne le scelte, invece di criticarle come per tirarsene fuori. L’uomo del “dialogo permanente e rispettoso fra le forze politiche”. Non solo. In grado anche di “rendere le istituzioni democratiche permeabili alle istanze della società civile”. L’uomo che negli anni segnati dalla “strategia della tensione”, considerata da molti miccia di innesco del fenomeno speculare del terrorismo brigatista che lo assassinò, si dedicò invece a una “strategia dell’attenzione, verso i nuovi fenomeni sociali e i nuovi processi politici”. Uomo dell’ascolto e del dialogo, in definitiva, forse anche per questo finito nel mirino di chi, da un versante o dall’altro, puntava in quegli anni sullo scontro, e ha pagato per questo con la vita.