Ansa
La storia dello sbarco del Sars– Cov2 in Lombardia andrà verosimilmente riscritta. Ben prima di colui che il 21 febbraio fu definito “paziente zero” a Codogno, con ogni probabilità il virus aveva già attaccato diverse ignare vittime nella Bergamasca. Settimana scorsa Avvenire ha rivelato che tra i primi di gennaio e metà febbraio, nella zona di Cividate, il medico di base Pietro Poidomani (tra i primi camici bianchi ad ammalarsi e attualmente in convalescenza) aveva prescritto una cinquantina di radiografie al torace per sospette polmoniti, con referto positivo nel 70% dei casi.
Era un precoce focolaio del temuto virus venuto dalla Cina? Il dubbio, più che fondato, trova conforto in uno studio realizzato dalla Regione Lombardia e da alcune Ats che, risalendo la catena dei primi casi accertati, ha ricostruito come il Covid– 19 circolasse già dai primi giorni dell’anno in Bergamasca e in altre province limitrofe. Una spia d’allarme si era forse già accesa addirittura in ottobre a Cerete, alta Val Seriana, con il caso di un’intera famiglia (padre, madre, figlio e nonno) contagiata da una polmonite virale. Ma nessuno la notò.
Ora nuove segnalazioni aggiungono altre tessere al tragico puzzle del contagio, retrodatando ulteriormente le possibili prime tracce del Covid–19. «Sì, a gennaio ci fu un aumento di polmoniti rispetto agli anni scorsi» conferma il dottor Vincenzo Ansanelli, medico di base di Brembate e Filago. «Un fenomeno inconsueto, che fu anticipato da un episodio ancora più strano». Il 27 dicembre Ansanelli visitò due coniugi di Brembate, 77 anni lui e 72 lei. «Il marito accusava problemi respiratori. Ma siccome anche la donna aveva la tosse, auscultai entrambi. Il sospetto mi venne subito: polmonite per entrambi.
La radiografia confermò. Alla moglie bastarono due settimane di antibiotici per guarire, il marito iniziò a stare meglio dopo dieci giorni di iniezioni. Un doppio caso più unico che raro, non ricordo nulla di simile in quasi 40 anni di carriera». Anche da Cividate arrivano nuovi elementi. Un altro medico di famiglia del paese, Carmelo Donato, rivela: «A fine gennaio cominciai a osservare diverse bronchiti piuttosto cariche».
Donato, specializzato proprio in pneumologia, spiega di aver poi notato, in un numero di casi via via crescente, un significativo peggioramento. «Attorno all’8–10 febbraio emersero anche febbri e qualche polmonite interstiziale. La curva sintomatologica si stava evidentemente alzando. Era un campanello d’allarme? Forse sì». Lunedì anche il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto Mario Negri, su Raitre, si è detto convinto dell’arrivo del virus «già a gennaio, se non prima», quasi in contemporanea con Wuhan (secondo alcune fonti il primo caso cinese risalirebbe al 17 novembre).
Uno scenario realistico, vista la quantità di scambi commerciali tra Cina e Lombardia, spesso direttamente con la Bergamasca. Si potevano cogliere segnali dell’epidemia in arrivo? Avvenire lo ha domandato all’Ats di Bergamo, chiedendo lumi sull’aumento di radiografie al torace (e di polmoniti) rilevato dai medici a inizio anno. Dopo una settimana la risposta non è ancora arrivata. Intanto frenano ancora i contagi: 53 ieri, contro i 103 di lunedì. L’ospedale da campo in Fiera ha accolto i primi malati: all’opera anche Emergency, che schiera veterani impiegati in Sierra Leone contro Ebola. Sul fronte po-litico, prosegue la polemica sulla mancata zona rossa di Alzano.
L’assessore regionale al welfare Giulio Gallera ha ammesso che, sulla base della legge 833 del 1978, anche la Regione avrebbe potuto sigillare l’area. E l’emergenza tocca anche il portafoglio: Adiconsum segnala forti aumenti dei prezzi. Un chilo di arance costa il 48% in più rispetto a un anno fa.