venerdì 18 novembre 2022
Lo studio del campus di Piacenza dimostra come sia possibile ridurre del 30% l’uso di concimi chimici e, di conseguenza, limitare del 40% le emissioni di gas serra associati alla loro produzione
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Ridurre l’uso dei concimi chimici è possibile. Lo studio condotto dai ricercatori dell’Università Cattolica del campus di Piacenza dimostra come non sia un’impresa così complessa rispettare gli obiettivi che la Commissione europea si è data con la strategia "Farm to fork" che entro il 2030 mira a ridurre del 20% l’uso di fertilizzanti, del 50% le perdite di nutrienti dal suolo e del 50% l’utilizzo dei pesticidi chimici.

In ambito agricolo, infatti, è sufficiente ridurre gli sprechi. Più in particolare, i ricercatori coinvolti nello studio pubblicato sulla rivista scientifica Land hanno sviluppato un nuovo fertilizzante “bio e green” dagli scarti della filiera alimentare, precisamente dagli scarti delle produzioni dei batteri lattici che attualmente vengono eliminati attraverso dei processi di depurazionee.

A coordinare la ricerca è stato Pier Sandro Cocconcelli, professore di Microbiologia degli alimenti presso la facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica e Edoardo Puglisi del dipartimento di Scienze e Tecnologie alimentari per una filiera agro-alimentare Sostenibile. Lo studio, inoltre, è stato svolto in collaborazione con l’azienda Sacco srl di Cadorago e con il centro di saggio agronomico LandLab srl di Quinto Vicentino e ha visto coinvolto come primo autore Gabriele Bellotti, dottorando di ricerca della Scuola Agrisystem dell’Università Cattolica.

Il fertilizzante «ecologico»

I ricercatori piacentini dell’Università Cattolica hanno mostrato come sia possibile utilizzare virtuosamente gli scarti della produzione industriale dei batteri lattici come fertilizzanti e biostimolanti in agricoltura. «I batteri lattici - spiega il professor Cocconcelli - si producono a uso alimentare e nutraceutico, per produrre cibi, bevande e probiotici». Quello che accade normalmente è che «gli scarti dei terreni di coltura utilizzati nella produzione dei batteri lattici vengono smaltiti in impianti di depurazione». Si tratta di «diverse migliaia di tonnellate di scarti prodotti ogni anno in Italia», precisa Cocconcelli.

Lo studio però, concentrandosi sulla coltivazione in serra di pomodoro e lattuga, ha dimostrato come l’utilizzo di questi scarti industriali permette di ridurre del 30% il quantitativo di fertilizzanti chimici azotati, senza ridurre in alcun modo la produzione e migliorando anche alcune caratteristiche fisiologiche della pianta. E questo porta a un altro risultato. Si stima, infatti, che in questo modo si possano ridurre del 40% le emissioni di gas serra associati alla produzione dei fertilizzanti chimici.

«Approfondite analisi di carattere chimico, microbiologico ed ecotossicologico hanno escluso qualsiasi impatto negativo sull’ambiente e sul suolo, evidenziando anzi effetti di promozione dei microrganismi utili alla crescita ed alla difesa della pianta», spiega il professor Edoardo Puglisi. Il vantaggio di utilizzare questo fertilizzante sarebbe quello di nutrire contemporaneamente la pianta (con nutrienti diretti ed indiretti), i batteri che hanno effetti positivi per la pianta nel suolo, e il suolo stesso (arricchendo la percentuale di umificazione del suolo). «Si tratterebbe quindi di un fertilizzante ecologico nel più ampio senso possibile, volto cioè a stimolare un intero sistema e non un solo organismo a scapito di altri», sottolinea il professor Cocconcelli.

In parallelo, la situazione geopolitica e il conflitto in Ucraina hanno fortemente alzato prezzi delle materie prime utilizzate in agricoltura, a partire dai fertilizzanti chimici. «In questo scenario diventano fondamentali gli approcci di economia circolare, volti a valorizzare scarti industriali minimizzando gli sprechi e riducendo la dipendenza da input esterni», conclude il professor Cocconcelli.

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