Hanno monopolizzato il Parlamento e il dibattito politico per due anni. Hanno richiamato in piazza migliaia di persone, per le quali nulla sembrava più necessario e urgente. Hanno messo in secondo piano i reali bisogni delle famiglie. Le unioni civili tra persone dello stesso sesso compiono un anno: era l’11 maggio del 2016 quando la Camera diede il via libera definitivo con la fiducia alla cosiddetta Legge Cirinnà. Da allora in Italia sono state firmate appena 2.794 unioni civili tra persone omosessuali. La classica montagna che ha partorito il topolino, si direbbe.
Un flop, ma guai a chiamarlo così, perché «una legge ha valore a prescindere dal numero di chi ne usufruirà», ha spiegato ieri al Senato il capogruppo Pd, Luigi Zanda, in una conferenza stampa convocata per «fare il punto». E il «punto» è presto fatto: meno di 3mila dall’approvazione (non un anno intero, perché in realtà nell’attesa del decreto-ponte e dei formulari le prime unioni sono state contratte a inizio agosto). Un risultato non certo strabiliante per una legge che sembrava così necessaria tanto che – si disse – «faceva uscire l’Italia dal Medioevo ». I dati raccolti fino al 31 marzo non mostrano una ressa agli uffici comunali, come qualcuno si aspettava dato il clima di grande attesa che si era creato: al Nord un po’ di più, meno al Centro e decisamente pochissimo al Sud (rispettivamente 1.417, 1.093 e solo 292). In Molise solo una unione, due in Basilicata.
A Milano, per fare un confronto, le unioni di coppie omosessuali sono state 354. La Regione in cui sono state stipulate più unioni gay è la Lombardia (665), seguita dal Lazio con 376 e dalla Toscana con 293. In Sicilia 75, in Campania 105. Nonostante l’evidenza dei numeri, da sinistra si contesta che si tratti di un flop: «È una creatura che dovrà crescere», ha ragionato la «madrina» della legge, Monica Cirinnà. In ogni caso, il Guardasigilli Andrea Orlando alla conferenza stampa di compleanno si è spinto ben oltre il dettato della legge: «Resta aperto il tema della genitorialità, tema che deve trovare una risposta per tutti e quindi anche per le coppie omosessuali. È un obiettivo che non possiamo lasciare cadere nel vuoto e che deve essere oggetto di iniziativa politica e legislativa».
Dalle legge sulle unioni civili omosessuali, come si sa, era stato faticosamente stralciato, pena la mancata appro- vazione, il capitolo sulla stepchild adoption, l’adozione dei figli del partner, una sorta di autostrada verso la legittimazione dell’utero in affitto. Ora il ministro della Giustizia sembra voler riaprire la partita. Quasi come se la legge sulle unioni civili sia stata, in verità, un primo passo verso ben altri obiettivi, peraltro già largamente raggiunti con le sentenze di Tribunali italiani che in questi mesi hanno riconosciuto la paternità di figli nati all’estero grazie a madri conto terzi. «Le parole del ministro Orlando non siano un 'via libera' alla stepchild adoption, pericolosa anticamera alla maternità surrogata. Quando si parla di genitorialità per tutti - ha commentato Elena Centemero, deputata di Forza Italia – va anche detto che l’essere genitore non è un diritto né un traguardo da raggiungere, anche calpestando la dignità altrui».
Perché la gravidanza surrogata è una pratica «gravemente lesiva dei diritti delle donne e dei bambini – ha continuato la Centemero, che è anche presidente della Commissione Equality and Non Discrimination del Consiglio d’Europa –. Una pratica che mercifica il corpo femminile, la maternità e la vita umana, e che dovrebbe essere combattuta in maniera trasversale, per arrivare alla messa al bando a livello internazionale». La strada è ancora lunga.